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Sezione a cura di Mario Volpi
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Per tetto un cielo di stelle

Una Volta Invece

Spetta/Le Redazione
4 Aprile 2014
Cara redazione
Sembra una affermazione al limite del fantascientifico, invece è proprio così, la notte vera, buia, un po misteriosa di un tempo, è sparita per sempre, portandosi via il verso dell'assiolo e della civetta, i voli dei "parpaion"(pipistrelli) e sopratutto privandoci della vista del cielo stellato. I danni ambientali sulla fauna e la flora di questa illuminazione eccessiva non sono ancora quantificabili, mentre il costo (4 MILIARDI DI EURO) all'anno lo sono eccome. Ne vale la pena?


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“Per tetto un cielo di stelle”

“...E quindi uscimmo a riveder le stelle!” Cosi Dante nella sua Divina Commedia, descrive la sua risalita dagli antri oscuri dell’Inferno, fino a rimirare finalmente un cielo stellato. Questo spettacolo grandioso che ha ispirato grandi poeti, e incantato milioni di innamorati, è stato ammirato per milioni di anni, intimorendo, per la sua grandiosità, i primi uomini apparsi sul nostro pianeta. Agli inizi degli anni sessanta, quasi come fosse stato colpito da un’oscura maledizione, cominciò a sbiadire sempre più, fino a risultare quasi invisibile ai giorni nostri. Questo sortilegio ha un nome; inquinamento luminoso, è anche questo come gran parte dei guai che deve subire il nostro pianeta è opera dell’uomo.
Subito dopo la guerra, l’illuminazione pubblica a Carrara era pressoché inesistente, anche perché, con un patrimonio edilizio in gran parte distrutto o seriamente danneggiato, non era certamente in cima alle priorità della gente. Bisogna anche ricordare che la vita delle persone era molto diversa da quella di oggi, i pochi locali pubblici, soprattutto cantine, chiudevano, alcune addirittura alle venti o improrogabilmente alle ore 24, così come le sale cinematografiche, va da se che la vita notturna era assai limitata, e l’illuminazione pubblica giudicata dai più superflua. Anche nelle case private era rarissimo trovare delle luci all’esterno, mentre le cantine, per legge dovevano avere sull’entrata una lampada che veniva accesa all’imbrunire, cosa che era fatta rispettare dalla pattuglia appiedata dei carabinieri. Le luci pubbliche erano situate solo sulle strade principali, in concomitanza dei centri abitati, queste erano costituite da un paralume di ferro smaltato di bianco il sotto, e nero il sopra, con al centro una semplice lampadina a incandescenza. Di solito il tutto era ancorato con un braccio metallico agli angoli delle case, o, come nel Viale XX Settembre, attaccato al centro di un filo in acciaio che attraversava la strada. La loro altezza da terra era relativamente bassa, tanto che gli elettricisti del Comune sul tetto della loro Seicento multipla, non avevano solo la scala, ma anche la “ladra” una canna di bambù, con la parte superiore tagliata a mo di cestino e rivestita di nastro isolante, con la quale svitavano e avvitavano le lampadine. I lampioni così bassi, ne facevano il bersaglio preferito delle nostre fionde, che oltre a rompere le lampadine, scrostavano in modo irreversibile lo smalto di protezione del paralume, così che dopo poco tempo era attaccato dalla ruggine, rendendolo pressoché inutile. Le notti di allora erano veramente buie, ma specialmente quelle estive, erano estremamente affascinanti. Milioni di lucciole sorvolavano i campi di grano, mentre centinaia di falene si affollavano attorno alla fioca luce dei rari lampioni, attaccate da un carosello continuo di pipistrelli affamati. Il “chiù” lamentoso dell’Assiolo, verso che gli è poi valso il nome in dialetto, e quello simile a un ronzio del Succiacapre, chiamato per il suo aspetto “boccalaccia”,ci confermavano che anche loro partecipavano al banchetto di insetti, disorientati da quella luce artificiale anche se fioca. Nei primi anni sessanta però con le migliorate condizioni di vita, aumentò anche la voglia di vita “notturna”. Intere famiglie si recavano nei primi bar per assistere ai programmi televisivi serali per famiglie, così anche i bar si dotarono delle prime insegne luminose. All’inizio erano molto semplici, una scatola metallica con i pannelli di vetro sabbiato, con scritto a vernice il nome del locale, con all’interno una o due lampadine, poi  vennero quelle più sofisticate, di grandi marchi di birre o di liquori, ed infine quelle fatte con tubi al neon curvati e colorati a formare una vera e propria scritta. Alle persone che si muovevano di più nelle ore notturne serviva un qualcosa per rischiarare la strada, così l’industria italiana non restò insensibile a questo fenomeno, e sfornò un oggetto che avrebbe rivoluzionato in modo sensibile la vita di molte persone; la pila. A l’inizio era una semplice batteria rettangolare, con una lampadina avvitata in una boccola di ottone, il suo inserimento con i contatti in giù provocava l’accensione, il posizionamento in su lo spegnimento, questa meraviglia tecnologica prese il nome di “lucciola”. L’emancipazione femminile, poi, con l’aumento vertiginoso delle donne che lavoravano, determinò anche una voglia di sicurezza per quelle che per lavoro dovevano spostarsi anche nelle ore notturne, così prese nuovo impulso la costruzione dei primi impianti di illuminazione pubblica. Agli inizi degli anni sessanta il Viale XX Settembre a Carrara venne illuminato con un impianto nuovo di zecca, l’avvenimento richiamò per giorni frotte di cittadini, tra cui il sottoscritto, stupiti e estasiati da quella luce così intensa. Poi, prevalesse la voglia di cancellare per sempre il buio della notte, così sempre più luci vennero montate anche nelle case private, a illuminare facciate e giardini, mentre la pubblicità si impossessava di questo nuovo mezzo, sfoggiando insegne sempre più accattivanti e gigantesche. E così cominciarono i primi guai. Gli insetti notturni subirono un drastico calo per il disorientamento che le luci artificiali provocavano loro nella caccia e nelle migrazioni, di conseguenza anche chi li predava come i pipistrelli, e gli assioli, ebbero un rapido declino. Le tartarughe marine appena uscivano dalle uova ingannate dalle luci si dirigevano verso la terraferma, incontrando così la morte per disidratazione, gli uccelli migratori sbagliavano la rotta, finendo in mare, o in pieno deserto. Oggi si sta cercando di porre un rimedio a tutto questo, l’illuminazione pubblica deve seguire delle rigide regole non solo anti abbagliamento, e antinquinamento luminoso, ma deve anche avere un basso impatto energetico. A tal proposito sempre più spesso vengono montati nuovi impianti a LED. E’ indubbio però che ci vorranno decenni per rendere accettabile una situazione che è stata catastrofica per molte specie animali. Speriamo che Madre Natura sia in grado di correggere gli errori fatti dalla stupidità dell’uomo, e che le prossime generazioni possano ancora vedere la notte punteggiata da migliaia di lucciole, e godere della maestosità di un cielo stellato.

Volpi Mario

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