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Sezione a cura di Mario Volpi
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Una normale giornata

Una Volta Invece

Cara Redazione

Alcuni giorni fa, stavo seguendo una trasmissione televisiva in occasione della festività del 1°maggio, e un ragazzo diceva al conduttore che le donne che svolgono la mansione di casalinga erano ,e sono fortunate, in quanto sono libere di gestire i loro tempo senza dover rendere conto al datore di lavoro. La Società moderna è molto cambiata e sarebbe perfettamente inutile dire al quel ragazzo e a tutti quelli della sua generazione quale bestialità stesse dicendo. Così ho pensato di mettere sotto forma di racconto una giornata tipica della mia vicina di casa di appena sessanta anni fa. I nomi sono stati cambiati ma il resto è tutto vero. Buon ascolto.

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Una normale ... giornata

Antonio aprì un occhio, e dopo uno sbadiglio, pian pianino si alzò dal letto. Il freddo della stanza gli morse le gambe nude e lui ebbe un brivido, nel frattempo anche la moglie Maria si era svegliata e bofonchiando un “buondì” si alzò anche lei. Mentre Antonio entrava nel “luogo comodo” posto sul pianerottolo, Maria, dopo essersi vestita scese le scale e si recò al piano terra in cucina. Con alcuni rametti e un pò di carta gialla preparata la sera prima, accese il fuoco nel fornello, e vi pose alcuni pezzi di carbonella, poi con la paletta raccolse la preziosa cenere di ulivo dal camino, che le sarebbe servita per fare la “bucata”, quindi accese il fuoco. Prese due secchi e uscì nell’aia. L’aria fresca le provocò un brivido, si strinse sulle spalle la “sciallina” di lana fatta all’uncinetto e si diresse al pozzo. Era ancora notte fonda, e il cielo stellato prometteva una bella giornata, anche se fredda, del resto essendo i primi di marzo, era una cosa normale. Tom il cane gli corse incontro festante scodinzolando, lei gli fece una rude carezza sulla testa, e lui le rispose guaendo di gioia. Anche se era ancora buio, non ebbe difficoltà ad attingere l’acqua, quindi rientrò in cucina. Antonio era sceso, e aveva posto sul fornello un tegamino, e vi stava versando il caffè che prendeva in una terrina in cui la sera prima aveva fatto bollire della polvere di caffè, che era rimasta in infusione per tutta la notte. Marito e moglie bevvero il caffè fumante seduti al tavolino, anche se si scambiavano poche parole, si vedeva che erano profondamente legati tra di loro. Erano mezzadri su un terreno di circa un ettaro e mezzo, di cui la metà coltivata a vigneto. Il proprietario era così avaro che Maria in dialetto diceva che “i n darè nemanch quela che i fa!” (non darebbe neppure quella che fa). Non solo lesinava nell’inviare uomini in giornata, necessari per fare i lavori più importanti come vendemmia, aratura, e mietitura, ma aveva preteso di aumentare il numero delle mucche e dei maiali, tanto che per far fronte a tutto quel lavoro, erano stati costretti a non mandare più a scuola Roberto, il loro figlio più grande di tredici anni. Antonio prese il cappello, la lucerna a petrolio, e uscì per recarsi nella stalla, mentre Maria saliva in camera per svegliare Roberto. Vedendolo dormire così beatamente, gli si strinse il cuore a doverlo svegliarlo a quell’ora antelucana, ma purtroppo doveva farlo. Il bambino al secondo scuotimento aprì gli occhi, e sua madre dopo avergli dato un bacio di buon giorno, gli disse di alzarsi piano per non svegliare i suoi due fratelli, che dormivano nello stesso letto, poi scese. Dopo pochi minuti, Roberto ancora assonnato, arrivò in cucina, dove sua madre gli aveva preparato una tazza di caffelatte bollente, mentre beveva, gli disse che appena finito, doveva andare a prendere la legna per il camino. Maria intanto aveva versato l’acqua nel paiolo attaccato alla catena del camino, ne serviva molta per fare il beverone per i dieci maiali del porcile. Roberto arrivò con la legna e sua madre gli dette l’incarico di scaldare l’acqua rimasta, senza farla bollire, e di impastare il fioretto e la crusca, nel concon posto sull’aia, che lei nel frattempo aveva preparato quindi uscì. Dopo i maiali doveva aiutare il marito nella mungitura delle sei mucche che erano nella stalla, entrò e vide, alla fioca luce della lucerna, Antonio che stava mettendo il foraggio nelle mangiatoie. Prese lo sgabello a una gamba, il secchio, e cominciò la mungitura. Finì che cominciava ad albeggiare, mentre il marito si occupava di rigovernare la stalla, lei uscì, e vide Roberto che versava il beverone nel trogolo, pensò a come fosse stata fortunata ad avere un figlio così. Arrivata in cucina, si recò nella stanza a svegliare Maria di sei anni, e Pietro di otto, per mandarli a scuola, pregando, che il piccolo Giuseppe di un anno, continuasse ancora a dormire nel cassetto aperto del comò. Mentre i bambini facevano colazione, sentì il barroccio di Osvaldo il lattaio che veniva a prendere il latte, così disse ai bambini di sbrigarsi se volevano avere un passaggio per un bel pezzo di strada. Erano appena usciti quando udì il pianto di Giuseppe, salì a prenderlo e lo portò in cucina, dove lo sfasciò, e dopo averlo lavato e rifasciato, si mise ad allattarlo, seduta davanti al camino. Entrarono Antonio e Roberto, che le dissero che dovevano attaccare le mucche alla tragia, per portare il letame nei campi e che sarebbero tornati verso le nove per fare colazione. Maria con Giuseppe in braccio entrò nel granaio e dopo avere riempito mezzo secchio di granoturco, andò verso il pollaio, lo versò in un contenitore di terracotta, quindi aprì la porta del pollaio. Una torma di galline uscì svolazzando e si avventarono sul granoturco beccandolo avidamente, anche i piccioni si unirono al banchetto, suscitando una risatina divertita da parte del piccolo Giuseppe. Poi si recò nel fienile, e posato sopra una balla di fieno il bambino, buttò alcune bracciate d’erba appassita preparata il giorno prima, a una marea di conigli, che vivevano liberi nel grande locale, chiuso solo da una mezza porta. Rientrata in cucina attizzò il fuoco del camino e del fornello, quindi si recò nella stanza da letto, e dopo aver deposto il piccolo nel suo cassetto, aprì la finestra per fare cambiare l’aria, vuotò il contenuto dei vasi da notte, e cominciò a rifare i letti. Giuseppe si era riaddormentato e lei chiuse la finestra e scese in cucina, tornò nel pollaio a raccogliere le uova, quindi dalla dispensa prese un poco di lardo e alcuni cipollotti, che Antonio il giorno prima, aveva raccolto nei campi. Ebbe appena il tempo di pulire i cipollotti che Roberto e Antonio dopo essersi puliti i piedi al “netta fango” murato sulla porta entrarono in cucina. “andate fuori a lavarvi, che puzzate come una concimaia” disse loro Maria, ma lo fece soprattutto per avere il tempo di apparecchiare la tavola. Quando rientrarono, su due piatti vi erano le uova strapazzate con lardo e cipollotti, e un odorino delizioso riempiva la cucina, due grosse fette di pane e un mezzo fiasco di vino completavano la tavola. Ma la giornata era ancora giovane, doveva ancora impastare i taglierini per il pranzo, allattare e rifasciare Giuseppe, lavare i piatti,  pulire la cucina e il gabinetto, fare il burro, e pulire le verdure per il minestrone della cena, anche il pane stava per finire e l’indomani avrebbe dovuto farlo. Sarebbe arrivata poi la mungitura serale, la cena, rilavare i piatti, rammendare i pantaloni di Antonio, finire i calzini ai ferri per Giuseppe, e mettere a letto i bambini. Per fortuna il bucato lo avrebbe fatto domenica, perché così, non andando a scuola, la piccola Maria avrebbe potuto badare a Giuseppe. Alla sera a letto, accanto ad Antonio che russava sonoramente, ringraziò il buon Dio, di averle fatto passare una ... normale giornata.


Volpi Mario

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