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Sezione a cura di Mario Volpi
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La caccia

Medioevo carrarino

Spett/le Redazione
Gian Galeazzo detto Conte di Virtù, tratta direttamente con l'amministrazione carrarina nel 1385, e dopo la promessa di calare le tasse di non rivendere la Signoria, e di fare rientrare i fuoriusciti politici, ne diventa il Signore. Famoso per la sua religiosità quasi maniacale,e per la sua abilità nella strategia militare, era anche un megalomane, e non si peritava di riprendere con la forza quello che magari egli stesso poco prima aveva concesso. Causò la morte di numerosi popolani carraresi nell'aspra contesa che ebbe contro Firenze, ma fu capace anche di fare edificare capolavori come la certosa di Pavia. Morì di peste a Malegnano e il suo immenso "impero" territoriale messo insieme con tanto sangue e dolore, si dissolse in pochi anni.

La notte del capo Strozziere* era stata insonne. Era troppa la responsabilità che il giorno dopo all'alba, sarebbe ricaduta sulle sue vecchie e fragili spalle. Per questo motivo, molto prima che le prime luci dell'alba scacciassero le tenebre, egli si era levato dal giaciglio, e alla flebile luce di una lucerna si era recato nella falconaia. Era un uomo già avanti con gli anni, anche se non si poteva ancora dire che fosse vecchio, aveva già servito ben tre Signori, che si erano succeduti al governo di Cararie. L'armigero di guardia sulla porta era semi addormentato, ma si sollevò di scatto e si affrettò ad aprirgli il pesante portone, rinforzato da grosse piastre metalliche.
All'interno tutto era tranquillo, i falchi, nelle grosse gabbie di giunco, voltarono la testa verso di lui, quasi infastiditi da quella luce improvvisa. L'unica a non degnarlo di uno sguardo fu lei. Rimase perfettamente immobile, lassù, in alto, saldamente aggrappata al grosso posatoio di tasso, solo quando egli gli si avvicinò, volse la testa e posò su di lui il suo sguardo giallo. Era splendida; scosse la grossa testa armata del terribile becco uncinato, quasi volesse schiarire i propri pensieri, quindi aprì le enormi ali e le sbatté un paio di volte a vuoto, come per sgranchirle, era pronta, questo suo atteggiamento contribuì a calmarlo un poco, e alquanto rasserenato uscì nella notte. Tornato nella sua stanza, si sdraiò di nuovo nel letto, e lasciò libera la sua mente di ripercorrere il filo dei suoi ricordi.
Era stato esattamente un anno prima, quando in una piovosa mattina di marzo, il Duca Gian Galeazzo Visconti, lo mandò a chiamare. Lo ricevette nel salone della Rocca, dove lui non era mai entrato, era immenso! Le pareti erano ricoperte da numerosi quadri con le massicce cornici dorate, e arazzi in tessuti preziosi, sul pavimento, di marmo bianco e nero, erano stese numerose pelli di animali, tre alte bifore, facevano entrare la malinconica luce di quell'uggiosa mattina, l'altissimo soffitto, da dove pendeva un gigantesco candelabro di cristallo, era contornato da un ballatoio di legno, e splendidamente affrescato con scene mitologiche. Il Duca era in piedi accanto a una finestra e guardava la pioggia cadere, pareva quasi che non si fosse neppure accorto del suo arrivo. Era vestito con un paio di braghe di velluto verde, che terminavano dentro un paio di morbide babbucce in pelle di daino, con le punte ricurve tenute arcuate da due catenelle d'argento, una corta tunica di seta con le maniche e il colletto a sbuffo, era chiusa in vita da un'elegante cintura di cuoio, cui erano appese una preziosa scarsella ricamata, e uno stiletto con il manico in avorio, finemente cesellato. "Vieni avanti mio fido" disse senza voltarsi, quindi prese posto su una monumentale sedia imbottita in velluto rosso, posta dietro un grosso tavolo in legno massello, " ho da affidarti una missione molto delicata" disse. Il capo Strozziere s'inchinò e disse umilmente" ai vostri comandi mio Signore" Il Duca fece una lunga pausa, quasi che all'ultimo momento si fosse pentito di affidargli quel compito, o che non trovasse le parole giuste per descriverlo, infine disse "domani all'alba partirai per i miei possedimenti in Verona". "Viaggerai con dieci armigeri di scorta, e con il mio Balivo * Messer Bernabò, ho preso accordi con alcune bande di uccellatori perché ti mostrino alcune aquile reali…" "Aquile Signore?" lo interruppe lo Strozziere, mordendosi subito la lingua. Il Duca fece finta di non aver sentito e proseguì; " sceglierai una giovane femmina, la più bella e maestosa che troverai, non badare al prezzo, ma che sia vivace e aggressiva, non ti farai vedere da alcuno, non dirai a niuno della tua missione,  e non dormirai nelle locande; quando sarai di ritorno, voglio che la addestri personalmente, e che sia pronta tra un anno esatto, ora puoi andare" "come sua Signoria comanda" disse il poveruomo inchinandosi e arretrando verso l'uscita. Il suono della campana della Pieve che chiamava alla prima funzione, lo fece trasalire, era ora di prepararsi, mentre si vestiva per la caccia, e indossava la corta tunica con le insegne del Duca, ripensò alla fatica per addestrare quella vera furia, che aveva fatto acquistare per la folle cifre di cento ducati, ma che li valeva tutti.* Dopo appena due mesi volava già sul suo pugno, dopo appena sei, era esperta nel ghermire il "logoro"* e a tornare al suono del fischietto, da lì a passare a prede vive era stato abbastanza facile. Lo Strozziere che si nomava Edogardo, non riusciva a capire perché il Duca avesse fortemente voluto quella belva alata, doveva certamente sapere che l'aquila oltre che estremamente pericolosa, era prerogativa solo dell'Imperatore. Tre giorni prima, era stato convocato dal Duca che gli aveva detto " fra tre giorni andremo a caccia ai Castellari, seguiremo poi il corso dell'Aventia verso le paludi, verrà nostro ospite, una persona di alto lignaggio, a cui tu consegnerai l'aquila" poi con un tono di voce che fece accapponare la pelle al poveretto, continuò " spero vivamente per te, che tu non abbia deluso le mie aspettative, puoi andare."

Due giorni dopo, quasi al tramonto, arrivò una carrozza chiusa, era scortata da un grosso manipolo di cavalieri, il Duca la fece entrare nella Rocca e proibì a chiunque di avvicinarsi al quartiere riservato all'ospite. Solo i suoi valletti, avevano libero accesso, le guardie sulla porta erano forestiere, si davano il cambio giorno e notte, e  tra loro parlavano una strana lingua.
Il sole era sorto, e cominciava a intiepidire quella che si annunciava come una splendida e piacevole giornata marzolina, il Capitano delle guardie dette ordine agli stallieri di portare nel cortile le cavalcature di tutta la Corte. Il cavallo del Duca era un bellissimo stallone nero di razza Frisona, a cui era affezionatissimo, ma che inspiegabilmente offrì all'ospite con un profondo inchino. Annunciato dal suono delle chiarine, e preceduto dal rullo di dieci tamburini, il corteo uscì dalla Rocca. Si arrestarono davanti alla Pieve "Vergine Maria de Cararie"* dove il Vescovo Bartolomeo benedì i cavalieri e le loro dame, che poi ripresero il cammino, e si diressero verso il ponte Marroncino tra due ali di folla festante. Il Duca cavalcava accanto all'ospite, e portava sul pugno sinistro il suo magnifico Girifalco di un bianco quasi assoluto, con il morbido cappuccio ornato da un ciuffetto di seta colorato, i sonagli d'argento, e i getti * che lo assicuravano al guanto, di morbida pelle di vitello. L'ospite anche se era un uomo imponente, sembrava minuscolo a confronto della  maestosità dell'aquila che portava sul pugno, molto simile oltretutto allo stemma araldico che aveva sulla tunica, ad eccezione che lì, l'aquila, possedeva due teste. La sposa del Duca, Caterina, portava la sua inseparabile femmina di Pellegrino, ornata da getti colorati, e il cappuccio con un piccolo stemma ducale. Arrivati sulla strada che portava verso Lavenza, il corteo procedette al piccolo trotto, seguita dai valletti che conducevano i cani segugi, e gli Hovawart da penna, e i servi con acqua, vino, e idromele, oltre a tre muli con le gabbie con altri falchi condotti da tre Strozzieri. Edogardo assieme a due guardacaccia, precedeva il gruppo, arrivato nei pressi dei Castellari, scese da cavallo e s'inoltrò nel sottobosco insieme a un guardacaccia. Poco dopo uscì e si parò di fronte al corteo che sopraggiungeva. "mio Signore" disse "ho scoperto delle orme di capriolo, penso che dovremmo provare in questo luogo" "e così sia" disse il Duca"dai disposizioni". Egli chiamò il valletto che conduceva la muta dei segugi, quindi disse rivolto all'ospite "Signore se volete, potete fare involare l'aquila": Il cappuccio fu tolto e dopo un secondo di esitazione, l'uccello partì. Con pochi e potenti colpi d'ala si alzò di parecchie centinaia di metri, poi comincio a volteggiare in cerchio ad ali aperte. "Ora" disse Edogardo al valletto che subito sciolse i segugi. Incitati dal valletto, si gettarono nel sottobosco, e dopo poco partì una violenta canizza, "dai, dai" urlava i valletto a cui si unì Edogardo urlando e battendo le mani. Da una macchia di Ontani parti di corsa un giovane maschio di capriolo, in pochi secondi distaccò i cani, e si lanciò su per la leggera salita nel disperato tentativo di raggiungere il folto del bosco. Fu un secondo, una forma scura triangolare piombò dal cielo a velocità folle, si udì una specie di belato di dolore, prima che i due animali rotolassero a terra in una nuvola di polvere. Edogardo arrivò giusto in tempo per vedere il povero capriolo esalare l'ultimo respiro, con gli artigli ben piantati nel collo, e la belva alata che stava già banchettando con i suoi occhi. Ma bastò un leggero fischio, perché la regina dei cieli si levasse di nuovo in volo per posarsi docile sul guanto che l'ospite gli tendeva, assieme ad un gustoso pezzetto di fegato crudo.
La caccia prosegui per tutto il giorno, con grande divertimento per gli ospiti del Duca. Nelle paludi, il pellegrino della Duchessa, e il Girifalco del Duca fecero strage di aironi e garzette, mentre anatre e gallinelle, furono il bersaglio di Astori, falchi Sacri e Lanari dei dignitari di corte. A maggio di quello stesso anno Edogardo fu fatto chiamare da Duca, che lo aspettava di nuovo nell'immenso salone. Timoroso come sempre, lo Strozziere entrò, il Duca era nella medesima posizione ma questa volta si volse subito e disse "L'Imperatore Venceslao ha gradito moltissimo il dono dell'aquila, mi ha detto che non ne aveva mai posseduto una così forte, aggressiva ma obbediente, mi ha concesso altri possedimenti, ma questo a te interessa poco *" gli gettò un sacchettino pieno di monete tintinnanti dicendo" mi hai servito bene, festeggia con la tua famiglia, e fa che i tuoi figli apprendano bene come te l'arte della falconeria, puoi ritirarti".
Fu così che una regina regalò a un Duca un regno, e a un poveruomo, una festa in famiglia.

Volpi Mario

Note :

Strozziere
       Addetto all'addestramento dei rapaci in epoca medievale

tutti
          Notizia storica: il Duca acquistò un Astore per 100 ducati

Balivo
            Amministratore di corte con funzioni di sostituzione del Signore

Logoro
          Simulacro di uccello usato per addestrare i rapaci alla caccia

Vergine Maria de Cararie
  Antico nome della Pieve di S. Andrea

Getti
           Lacci fissati alle zampe dei rapaci per legarli sul guanto

poco
         Notizia storica: Ottenne per 100.000 fiorini il Ducato di Milano

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