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Sezione a cura di Mario Volpi
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Il carradore

Medioevo carrarino

Spetta/le Redazione
A distanza di secoli nulla è cambiato nella Società, dove i più umili, magari dotati di una grandissima professionalità e intelligenza, devono sottostare ai capricci dei potenti,  spesso intellettualmente ad un passo dalla scimmia. Così è stato anche per gli antichi "carrozzieri" medievali, che costruirono vere e proprie opere d'arte, e fecero scoperte sensazionali come le prime sospensioni, ma non solo non potevano aspirare a possedere una di queste antiche "Ferrari", ma che che spesso erano oggetto di angherie da parte dei loro sovrani.
19 maggio 2012

Mastro Lubrano era agitato, la luna era già alta nel cielo, ma lui non era ancora riuscito a chiudere occhio. Del resto ne aveva ben d’onde; l’indomani sarebbe venuto il Duca a visionare il lavoro che gli aveva commissionato mesi fa, e, egli, pur essendo certo della buona qualità dello stesso, temeva il suo giudizio.
Lubrano aveva una bottega da * carradore sulla via Carriona, appena prima del Ponte della Bugia  l’aveva ereditata dal padre, che a sua volta l’aveva avuta dal suo, risalendo fino alla quinta generazione. Anche il mestiere lo aveva appreso dal padre, morto per la peste troppo presto, lasciandolo a capo di una numerosa famiglia di fratelli, maschi e femmine, che egli aveva impiegato nell’azienda di famiglia. Costruiva, e riparava, quasi unicamente carri per il trasporto del marmo. Li faceva in legno di faggio stagionato, che i suoi fratelli tagliavano nei boschi sul * Monte Forca, vicino al giogo di * Casaponci. Qualche volta, ma raramente, costruiva anche * birocci, per il trasporto di masserizie. Gli affari andavano bene, tanto che si poteva concedere il lusso di avere, oltre a numerosi operai e apprendisti, anche un * hominis fabris che lavorava solo per lui. Girandosi per l’ennesima volta nel giaciglio disfatto, tornò con i suoi pensieri a quel giorno ormai lontano. Era una gelida mattinata invernale, pioveva a catinelle, quando di colpo entrarono nella bottega due armigeri, che senza tanti complimenti lo presero, lo caricarono su un mulo che avevano al seguito, e partirono di gran carriera verso la Rocha. Lubrano era letteralmente terrorizzato, non comprendendo il motivo di quel trattamento, giunto al castello fu consegnato al Conestabile, che lo tranquillizzò un poco, prima di portarlo al cospetto del Duca. Gli armigeri non gli avevano dato neppure il tempo di prendere il mantello con il cappuccio, e ora, completamente fradicio di pioggia, batteva i denti per il freddo, e per la paura. Il Duca sedeva dietro un pesante tavolo coperto di pergamene, e al suo ingresso non sollevò neppure il capo, come non rispose al suo saluto. Dopo un tempo che a lui parve lunghissimo, alzò il capo e gli chiese “ ci hanno informati che tu sei il nostro miglior carradore, corrisponde a verità?” “Cerco di fare il mio lavoro sempre al meglio, mio Signore, e nessuno si è mai lamentato dei miei servigi” rispose tremante il pover’uomo. Il Duca si alzò in piedi e si avvicinò al caminetto, dove scoppiettava un grosso ceppo, quindi disse rivolto all’uomo” avvicinati al fuoco, stai tremendo come una fantesca” “grazie mio Signore” rispose Lubrano avvicinandosi e allungando le mani verso le fiamme guizzanti. Il Duca tornò verso il tavolo e presa una pergamena la porse a Lubrano dicendo” il nostro buon amico, il Conte Orsini di Borgotaro ci ha inviato questo disegno della sua ultima carrozza che il suo carradore gli ha costruito, sapresti farmene un’uguale?”
Lubrano osservò attentamente il disegno poi disse” mio Signore, io costruisco carri per il trasporto del marmo, e non posseggo i materiali per fare una simile meraviglia” “questo non deve impensierirti” rispose il Duca, “il mio Conestabile ti farà avere ogni cosa che tu gli chiederai, ma bada, dovrà essere splendida, degna del mio rango, e impenetrabile alla pioggia e al vento.” Lubrano si alzò dal giaciglio, provocando un leggero gemito di disapprovazione della moglie cui aveva scoperto la schiena, si diresse verso la cucina, dove bevve un sorso d’acqua attingendola dal bacile di rame, quindi ritornò al letto, e si rituffò nei suoi pensieri. Ancora adesso non sapeva, dove avesse trovato il coraggio per chiedere al Duca “ mio Signore dovrei sapere quanti cavalli saranno destinati al tiro, e se la larghezza della stessa dovrà essere come adesso si costuma” dapprima sembrò che il Duca non avesse sentito la domanda, poi si girò, e a Lubrano parve di scorgere un lieve sorriso sulla faccia del nobiluomo che rispose, “ notiamo con piacere che conosci il tuo mestiere, il tiro sarà a quattro, e la larghezza come si costuma, altre cose le chiederai al mio Conestabile, ora puoi andare.”
I mesi che seguirono furono segnati da un intenso lavoro, il * tornio a frusta, girò per giorni per costruire i mozzi, e i vari componenti delle gigantesche ruote, composte di ben dodici raggi del migliore legno di acacia, poi quando tutti i pezzi furono pronti, vennero poste su un piano con al centro un perno e montate. L’Hominis fabris, con altri due apprendisti, arroventò sulla forgia i cerchi in ferro, e li pose sulla circonferenza delle ruote, questi si scavarono la loro sede in modo perfetto, e quando furono raffreddati, di colpo serrarono le ruote in una morsa inamovibile. Per la cabina il lavoro fu molto più lungo e complesso, furono fatti arrivare da Venezia i vetri per i finestrini, mente il tetto, in abete Piemontese, fu calafatato e bitumato come lo scafo di una barca. Le sue sorelle arredarono l’interno con sete e broccati preziosi, che il Conestabile fece arrivare da Piacenza, mentre Siena fornì  le terre per le pitture.
Il campanile batté la prima ora, che lo colse di sorpresa, balzò fuori dal letto, e corse via, oggi era il grande giorno. Anche se era appena l’alba, nella bottega l’attività era al massimo, alcuni apprendisti rifinivano con stoppacci di lino imbevuti di spirito di vino, la lucidatura a Gommalacca della carrozza, mentre altri, dopo aver usato abbondante grasso di pecora, montavano le grosse ruote posteriori, e quelle più piccole anteriori. Dopo poco arrivò lo stalliere dal castello con uno splendido tiro di cavalli morelli, alcuni balzani da tre, di rara fierezza, la carrozza fu trainata fuori della bottega, e i cavalli furono attaccati ai finimenti, quindi si aspettò il Duca.
Questi arrivò all’ora terza con la moglie, le figlie, e la Corte al seguito, tutti splendidamente vestiti, oggi finiva il periodo di Quaresima, e la città era in festa. A Lubrano sudavano le mani, e le ginocchia cedettero quando il Duca scese da cavallo e si avvicinò alla carrozza. Gli girò attorno e poi aperta una portiera, fece per salire, tutta la carrozza oscillò, egli scese, e si rivolse irato al povero Lubrano “ vuoi forse uccidermi?” disse mettendo mano all’elsa della spada, “ no mio Signore” rispose tremante il poveruomo, “ e un mio ingegno per fare stare più comodo Vostra Grazia, guardate” e gli fece vedere il sistema che consisteva nell’avere sospeso completamente la cabina fissandola al carro sottostante con grosse cinghie di cuoio, in modo che le asperità della strada fossero quasi nulle. Poco convinto il Duca disse” ora faremo un giro di prova tu ed io, e se non sarò soddisfatto, solo io scenderò da questa carrozza con le mie gambe.” Chiamò il suo palafreniere che si mise a cassetta, e con Lubrano al fianco partirono di carriera. Ritornarono poco dopo e Lubrano scese per primo per aprire il predellino al Duca, che sceso, si fermò un attimo e disse” sei veramente un maestro nel tuo lavoro, vedrai che presto avrai modo di servirmi ancora, tieni festeggia con i tuoi uomini” e gli gettò una scarsella tintinnante. Il poveruomo dopo essersi inchinato a ringraziare corse a casa, e si mise a letto, lo spavento gli aveva provocato un febbrone da cavallo.

Carradore   Costruttore di carri e carrozze nel Medioevo
Birocci    Antichi carri trainati da buoi
Monte Forca   Monte di sinistra del Sagro
Casaponci   Antico nome di Castelpoggio
Hominis fabris  Fabbro
Tornio a frusta  Antica macchina utensile che serviva a tornire il legno con un sistema     di cinghie a pedali


Volpi Mario

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