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Sezione a cura di Mario Volpi
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Bollenti spiriti

Una Volta Invece

Spetta/Le Redazione
Il vecchio adagio "l'unione fa la forza" non è sempre valido. Prova ne è che i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, Italia, Spagna, Grecia e parte della Francia, non solo sono costretti dalle norme CEE a limitare le loro produzioni, ma sono costrette anche a una sorta di dannosa concorrenza tra loro, a tutto vantaggio dei paesi del nord Europa. In più la Comunità Europea fa poco o nulla per eliminare i falsi "Made in Italy" come i kit di "Chianti da fare in casa" in vendita in Inghilterra e Scandinavia, o il "Parmisan" venduto in Germania, tutti spacciati come Made in Italy.

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Bollenti.... Spiriti

E’ di questi giorni la notizia che il Governo, voglia mettere una “tassa di scopo” dalla durata di tre anni, su superalcolici e bevande gassate zuccherate. Con i soldi ricavati si vorrebbe migliorare il Servizio Sanitario Nazionale. Sarebbe come dire che aumentando di un pò il costo di un bicchiere di veleno si ricaverebbero i denari per curare gli avvelenati. I Governi della Comunità Europea, non sono nuovi a queste iniziative, già a gennaio del 1993, tutti gli Stati membri di allora, compreso l’Italia, hanno messo delle “accise” sulla vendita, e produzione, delle bevande alcoliche. Il consumatore si è trovato così gravato da questo nuovo balzello, con la giustificazione che è stato necessario per “uniformare” la tassazione nella C.E.E., dimenticandosi però che in Italia si pagava già l’I.V.A. pari al 22%, tra le più alte d’Europa. Così una delle Nazioni leader nella produzione di vino, dovette sopportare un’altra mazzata fiscale, a tutto vantaggio dei paesi concorrenti, dove la tassazione è minore, alla faccia della Comunità Europea! Tutti i Paesi del mondo cercano di proteggere e rilanciare i loro prodotti di punta, anche con politiche fiscali favorevoli, solo l’Italia sembra andare controcorrente, tassando pesantemente prodotti e produttori, delle sue eccellenze, come vino, e distillati. Pochi sanno ad esempio, che, in conformità a un decreto proprio della Comunità Europea, il nome “Grappa” può essere usato solo per un distillato ricavato in Italia, da vinacce italiane, riconoscendo così l’Italia come primo paese produttore di distillati d’alta qualità e certificati. A giustificazione di questi balzelli, gli amministratori dicono che, poiché il proibizionismo, già fatto in America negli anni venti, non è servito a nulla, se non a ingrassare la mafia, l’unico sistema è quello della tassazione, per cercare di scoraggiarne un pò il consumo. La verità è che tutti gli Stati incassano ogni anno cifre astronomiche con la tassazione sulle bevande alcoliche, senza contare le migliaia di posti di lavoro a esso collegati. Sicuramente non è con le tasse che si scoraggerà il consumo smodato di alcol soprattutto nei giovani, ma con campagne mirate a iniziare nelle scuole primarie, dove si dovrebbe spiegare che l’alcol assunto moderatamente è un piacere benefico, mentre è un veleno mortale se preso senza criterio. La Coldiretti, poi suggerisce, che, anziché tassare le bevande zuccherate, come i succhi di frutta, si dovrebbe aumentare per legge la quantità minima di frutta presente in essi, in modo di aiutare, e rilanciare, la coltivazione di frutteti in Italia, ma c’è da scommettere che questa proposta non sarà presa in considerazione.
Il settore agricolo, un tempo vero e proprio polo trainante dell’economia italiana, è sempre stato nel mirino dei governanti che si sono avvicendati nei secoli, che hanno sempre tassato, o le materie prime, come il sale, o i derivati come il vino. Per paura di perdere le cospicue entrate fiscali, sono arrivati a proibire ai contadini, pena addirittura la galera, la distillazione fai da te, di grappe e acquaviti. In verità a questo divieto si è sempre disobbedito, più per necessità che per voglia di trasgressione. A tal proposito mi ritornano alla mente le brumose serate autunnali della mia infanzia, perfette perchè l’odore di grappa non si espandesse, e tradisse così la distilleria clandestina, posta al riparo del portico della stalla. Bisogna dire che ogni fattoria del tempo, era una fabbrica di cibo, dove anche i rifiuti erano vicini allo zero. La sapienza millenaria contadina poi, aveva insegnato a non buttare via nulla, e che tutto si poteva, e si doveva riciclare, e conservare per i tempi magri. Così le vinacce dopo averne ricavato vino, vinella, e strizzo, mescolate con acqua e fatte rifermentare per qualche giorno, si potevano distillare per ottenere la grappa, prima di gettarle come concime alla base delle viti. Anche l’alambicco era un monumento al riciclo e soprattutto al fai da te. Quello che usava il fattore era ricavato da una vecchia latta dal latte in alluminio da 50 litri, a chiusura ermetica, sul cui coperchio vi erano stati praticati due fori, in uno vi si forzava a martello un piolo di legno, che fungeva da valvola di sicurezza, l’altro molto più piccolo era filettato e vi veniva avvitata una boccola, dove lo “stagnin” (idraulico) vi aveva saldato sopra un lungo pezzo di tubo di ottone, ricavato da un vecchio lampadario, storto a serpentina lungo il manico di una vanga. La serpentina era immersa in un bidone pieno d’acqua, da cui fuoriusciva solo l’ugello, sotto al quale si poneva un tegame per raccogliere il distillato. La misura delle vinacce da mettere all’interno dell’alambicco improvvisato era data in “capagni” mentre l’acqua, misurata con il secchio del pozzo. Si cominciava con il fuoco basso, perché “venisse fuori la testa” che era velenosa e andava buttata, poi il fuoco veniva aumentato, fino a portare il tutto a bollore. Spesso la grappa veniva “ripassata”una seconda volta per aumentare il tasso alcolico, si ricavava così uno “spirito” usato principalmente per conservare frutta come, uva, o ciliegie, poste intere in un vaso di vetro a tenuta ermetica. Si usava la distillazione anche per il vino con lo “spunto” o per qualche damigiana, al cui interno vi era affogato un topolino, cosa non difficile a quei tempi. Poteva succedere anche, che la grandine, o il forte vento di una notte, rovinasse una grande quantità di frutta, allora questa veniva presa, schiacciata, e fatta fermentare in una bigoncia per una settimana, poi si distillava. Vi era l’usanza di preparare dei distillati speciali per persone importanti, come il proprietario del fondo, il medico condotto, o il prete. Si faceva crescere una o due pere all’interno di un fiasco senza la veste, con l’imboccatura chiusa da stoppa per evitare il passaggio degli insetti, quando la pera era matura, si tagliava il ramo, e si riempiva il tutto di grappa, e si donava al Vip del tempo. La grappa si metteva nel latte bollente, se avevi il raffreddore, o sul dente cariato per alleviarne il dolore, sulla ferita che ti eri fatto con la falce, si prendeva per sopportare un grosso spavento, o per festeggiare una ricorrenza speciale, si barattava con quello che non avevi, come le acciughe sotto sale, o la farina di castagne. Ma serviva soprattutto a riciclare un qualcosa che altrimenti si sarebbe dovuto buttare. Era questa la ragione principale per cui si disobbediva alla legge che ne vietava la produzione, una ragione di pura sopravivenza, e non certo come ebbe a scrivere quel Prefetto di Polizia agli inizi del novecento, quando trovò dei contadini carrarini intenti alla sua preparazione”... perché tutti anarchici, disprezzanti della Autorità e della sua legge...”


Volpi Mario
17 settembre 2014

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