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Sezione a cura di Mario Volpi
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Tra piume puntini

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi il cinematografo la fa da padrone, le multisala, hanno sferrato un colpo mortale a spettacoli teatrali divenuti sempre più rari. Si assiste a grandiosi concerti spesso all'interno degli stadi, dove  pop star famose, si esibiscono per migliaia di persone osannanti. Un tempo anche nelle città di periferia, vi era uno spettacolo dal "vivo" almeno ogni 15 giorni. Varietà, Operette, e Opere liriche, si alternavano, "educando" così, gli italiani ad apprezzare oltre a l'italiano, anche un minimo di cultura artistica
Tra piume e … puntini!
La storia del teatro in Italia si perde nella notte dei tempi. Greci, Romani, ed Etruschi, ne hanno lasciato ampie testimonianze, fino ad arrivare ai bui secoli del medioevo, dove il teatro cambiò carattere e contenuti, ma non sparì. All’ignorante uomo medievale, non sarebbe stato possibile proporre una tragedia greca, così le rappresentazioni diventarono prevalentemente a carattere religioso. Queste rappresentazioni, con attori improvvisati, si tenevano all’aperto, in occasione di sagre o fiere, o durante una ricorrenza al tempo importantissima; il Carnevale. Teatranti, e menestrelli professionisti invece, preferivano esibirsi all’interno delle corti dei regnanti, perché sicuri di ricavarne un profitto. Si arrivò senza troppi cambiamenti fino al XVI secolo, dove tutto cambiò. Nacque in quegli anni, la Commedia dell’Arte. A differenza di quello che molti credono, con questa definizione, non si stabilisce un tipo di commedia, ma semplicemente il modo di recitare a “braccio, ” ossia senza un vero e proprio copione, seguendo un sottile filo conduttore, che ogni attore arricchisce a suo piacimento. Nascono le prime vere Compagnie Teatrali, da cui le donne sono escluse, ma con i membri considerati a tutti gli effetti veri “mestieranti,” ossia professionisti nell’arte del recitare. Agli inizi del 1700, a Venezia, al tempo città cosmopolita, non solo si permette anche alle donne di recitare, ma si costruisce il primo teatro a pagamento, dove, anche il popolo, fino a quel momento escluso, potrà assistere a eventi teatrali. Grandi commediografi come Molière, scrivono testi di commedie che sarebbero giunte, e rappresentate, fino ai giorni nostri. Con il passare del tempo, anche i teatri cambieranno forma e aspetto. All’inizio semplici saloni, situati nelle lussuose residenze dei potenti, si evolveranno nel corso dei secoli, fino ad arrivare alla forma ellittica attuale, col palcoscenico sopraelevato dalla platea, e diverse file di palchi, questa tipologia teatrale, non a caso si chiamerà “all’italiana.” Agli inizi del novecento, i teatri, oltre che belli esteticamente, saranno costruiti scientificamente, curando in particolar modo l’acustica, ma soprattutto dotandoli dei più moderni sistemi per approntare, e cambiare rapidamente le scenografie, che sono diventate sempre più grandiose e spettacolari. Alla fine del 1800, il teatro cambierà ancora, nasce il Varietà. Sulla falsariga di quanto si rappresentava a Parigi, nei famosi Cafè Chantant, lo spettacolo diventa più leggero, qualcuno dirà più popolare, e comprenderà artisti delle varie discipline, che spesso scrivono e recitano il loro repertorio. Questo sarà d’importanza fondamentale per questo tipo di teatro, che fonda il suo successo sul gradimento del pubblico per l’attore, e non per i contenuti. Sono figli di questi spettacoli, grandi nomi, come Ettore Petrolini, o Totò, solo per citare i più famosi. Con il miglioramento dei trasporti, le Compagnie Teatrali diventano quasi esclusivamente itineranti, che a inizio stagione, progettano il loro tour, non in base a fiere o sagre, ma secondo la disponibilità dei teatri, e alla “ricchezza” delle città toccate. Nasce anche una nuova professione; l’impresario teatrale. Questa nuova figura, si occuperà di organizzare lo spettacolo, ingaggiando gli attori, e anticipando i denari per stipendi, costumi, alloggi, e trasporti, con la speranza di guadagnare con gli incassi. Per raggiungere questo traguardo, non si andrà troppo per il sottile, arrivando ad affermare che la Compagnia è francese, al tempo, vera garanzia di qualità, e a usare dei francesismi per descrivere i vari numeri dello spettacolo, di cui i protagonisti, avranno tutti il nome (falso) francese. Proprio questa esterofilia, non piacerà per nulla al nuovo regime Fascista, che cercherà, anche con provvedimenti fiscali sfavorevoli, di limitarne la diffusione. Così dalle ceneri del Varietà, in pochissimi anni nascerà la Rivista. Questa forma di spettacolo punta soprattutto sulla magnificenza delle scenografie, e dei costumi, soprattutto delle donne. Protagonista, di questa nuova forma teatrale, sarà proprio la figura femminile, di cui la Soubrette, farà certamente la parte del leone, seguita a ruota dal balletto, composto di splendide ballerine “svestite” in abiti sfarzosi. Gli uomini, interpreteranno macchiette, o personaggi comici. Come non ricordare prime donne come Wanda Osiris, o comici che poi sarebbero diventati delle vere leggende, come Macario, Dapporto, Bramieri, o Walter Chiari, per citare solo i più noti. Questi spettacoli però erano molto costosi, e poi dovevano confrontarsi con un concorrente molto agguerrito, e certamente, più economico, il cinematografo. Così, per non scomparire definitivamente, alla fine degli anni cinquanta nasce l’Avanspettacolo. Come anticipa il nome, questa forma teatrale doveva essere molto breve, e fatta prima dello spettacolo cinematografico. L’avanspettacolo, avrà una vita economica difficile fin dalla sua nascita, perciò, specialmente nelle periferie, si cercava di risparmiare sul numero degli attori, e sulla sfarzosità dei costumi. Per attirare più pubblico, poi, si pensò di usare al massimo il fascino femminile, e di sfidare la ferrea censura, proponendo una delle prime forme di spogliarello, anche se molto soft. A Carrara, la “rivista” come si diceva allora, era fatta il lunedì pomeriggio, al Politeama Verdi, che la gente chiamava “Marconi.” Dopo il film, di solito un polpettone romantico, il tendone da proiezione, era sollevato, e si dava inizio alla rappresentazione. Questa cominciava invariabilmente con la musica registrata, e il “corpo di ballo,” costituito da tre o quattro ballerine, spesso non più giovanissime, ne tantomeno delle miss, che, con grandi copricapi piumati, e vestite sommariamente di lustrini, sgambettavano cantando sulla “passerella,” un camminamento che dal palcoscenico le portava a passare vicino alle prime file, tra gli urli, e i lazzi della “piccionaia.” Si chiamava così l’ultimo loggione, luogo, dove la visione sul palcoscenico non era ottimale, ma anche il biglietto d’ingresso costava poco, per cui, qui si trovava il pubblico più giovane e squattrinato, ma anche il più “interessato” allo spettacolo. Dopo due e tre scenette, con pesanti doppio sensi del comico di turno, le luci si abbassavano, e una voce stentorea fuori campo, annunciava il nome della spogliarellista, immancabilmente esotico. Una musica languida, e l’assoluto ed eccitato, silenzio in sala, la seguiva, assieme all’occhio di bue, nel suo numero, fino a quando, il proiettore si spegneva, e nella penombra, rimaneva con quello che al tempo si chiamavano i “puntini, ” microscopici pezzetti di celluloide luccicante, incollati sui punti strategici del corpo nudo. Allora, con pudiche mosse, raccoglieva le sue poche vesti, e tra le urla della piccionaia, si ritirava dietro le quinte. Si pensi, che perfino le dimensioni, e la posizione dei puntini, erano strettamente controllati dal funzionario della Questura. Oggi uno spettacolo del genere sarebbe considerato più che patetico, ma a quei tempi, dominati dalla più ferrea e becera censura, era una vera e propria trasgressione, un modo di ribellarsi a quel mondo, dominato da ipocriti perbenismi, dove il confine tra il lecito e l’immorale, era segnato dalle dimensioni dei puntini.  

Mario Volpi
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