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Sezione a cura di Mario Volpi
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Cibo consolatorio

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi, i maggiori cuochi stellati, dicono di quanto sia deleterio il fritto per la salute umana, dimenticandosi che questo sistema di cottura ha supportato il popolo per secoli, e se siamo arrivati fino a qui, forse non è così venefico no??

Cibo … consolatorio

Quando l’Italia era una realtà agricola, uno dei più grandi problemi della maggior parte dei suoi abitanti era riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena.
Questo era ancora più difficile durante l’inverno, quando la campagna era spoglia, ricoperta dal gelo, o allagata dalle piogge. Era proprio in quelle situazioni, che mettevano in serio pericolo addirittura la sopravvivenza delle persone, che l’italico ingegno delle casalinghe italiane dava il meglio di se, riuscendo, con poco o nulla, a sfamare le loro numerose famiglie. Questo avveniva con un sistema di cottura oggi a torto demonizzato, additato come il responsabile di ogni male, fama in verità immeritata: il fritto. Un antico adagio dialettale recita”frita adè bon anch na zavata!” (fritta è buona anche una ciabatta), e nulla è più vero. Recenti studi scientifici hanno dimostrato come il nostro cervello non si sia ancora del tutto ” modernizzato,” continuando a preferire cibi grassi, come facevano i nostri progenitori preistorici. Pare poi che una particolare proteina situata sulla nostra lingua, al contatto con il cibo fritto, scateni una serie di piacevoli sensazioni chimiche che sarebbe troppo lungo e noioso da spiegare. Così, le genericamente chiamate frittelle, o le padellate di fritto vario, la facevano da padrone nei mesi invernali, e fino alla primavera inoltrata, nello sfamare vaste porzioni della popolazione di allora. Anche se povere e affamate, le genti del tempo erano profondamente religiose, così il fritto, si distingueva in due tipi, quello quaresimale, e quello non quaresimale. La differenza stava nell’uso di olio di oliva, vegetale e quindi di “penitenza, ” nel periodo di Quaresima, e nell’uso del più appagante strutto nel resto dell’anno. Era pressoché infinita la lista di alimenti che la massaia friggeva in quel triste periodo, ma che la fame, e la quantità più che limitata, rendevano squisiti. Salvia impastellata, punte di asparagi selvatici con un uovo, ma anche pane raffermo, o semplici ortaggi come carciofi, sedani, teste di cavolfiore, cipolle, e via dicendo, che spessissimo costituivano l’unica portata per la cena nelle fredde serate invernali. Vi erano poi le occasionali ghiottonerie, come le frittelle di baccalà, o di “ceine, ” piccolissime anguille, che i nostri pescatori al tempo pescavano alla foce del Carrione, o le squisite anguille, che noi bambini ci divertivamo a pescare nei fossi, dopo forti temporali, con la “mazzacora” (esca fatta di lombrichi vivi). In occasioni particolari, quando la pasta per fare il pane era particolarmente abbondante, si friggevano gli squisiti “sgabei, ” che in qualche parte d’Italia chiamano gnocco fritto, da mangiare ancora bollenti, aperti in senso longitudinale, con all’interno una sottilissima fetta di lardo, che il calore faceva sciogliere in una sinfonia di gusto. Come dimenticarsi poi delle” chiacchiere” il dolce fritto tipico delle festività del Carnevale, al tempo molto sentite, perché rappresentavano la fine dell’inverno, e quindi del periodo di carestia, anche se spesso questo non era vero. Il piatto più comune però, anche se molto gustoso, era la polenta fritta. Fatta in quantità industriale, in una sola volta, era consumata per tutta la settimana. Veniva fritta perché così era possibile mangiarla senza alcun condimento, e non, come mi disse una volta una bambina in una scuola cittadina, per motivi dietetici. Altra occasionale prelibatezza erano i ranocchi, che, nelle serate primaverili, noi ragazzi andavamo a catturare nei fossi, con una semplice canna di fiume, uno spago, e un pezzo di lana rossa che serviva da esca. Le loro tenere carni bianche, fritte in abbondante strutto, diventavano una gustosa golosità, molto apprezzata da tutta la famiglia, non molto avvezza al consumo di proteine. Al tempo la maggior parte dei cibi erano cotti nello strutto, un condimento molto più a buon mercato dell’olio d’oliva, che oggi, dopo essere stato ingiustamente demonizzato come portatore di colesterolo, è stato quasi del tutto dimenticato. Invece recenti studi hanno dimostrato che lo strutto, per il suo alto punto di fumo, e il più salutare tra i grassi per la frittura, meglio dell’olio di olive, e infinitamente superiore agli altri oli vegetali. Questo a dimostrazione di come, la secolare sapienza contadina, abbia nel corso dei millenni, saputo sfruttare condimenti economici e salutari, alla base delle nostre tradizioni culinarie, ma soprattutto attori protagonisti di uno stile di vita che tutto il mondo ci invidia: la dieta mediterranea.

Mario Volpi
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