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I “vecchi” di un tempo

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
Oggi l'anziano, è tollerato fino a quando è completamente autosufficiente. Le dolenti note cominciano quando "il vecchio" necessita di assistenza, se poi vedovo o vedova, comincia una guerra intestina per capire chi deve farsi carico del "pacco."

Publio Terenzio Afro, commediografo romano vissuto nel 185 a.C., ebbe a dire che “ la vecchiaia è di per se stessa una malattia.” Certamente ai suoi tempi era certamente così, visto che a Roma l’aspettativa di vita media era di appena venticinque anni, e dove raramente si raggiungevano i quaranta. Oggi, a noi questi dati appaiono incredibilmente spaventosi, ma lo sono assai meno se si va a consultare gli archivi anagrafici del novecento, da dove di evince che in Italia, dopo quasi venti secoli, l’aspettativa di vita era di appena trentadue anni. Lasciando allo statistico i freddi calcoli demografici, vi posso assicurare che la differenza tra un anziano degli anni sessanta e uno odierno, è semplicemente abissale. Tanto per cominciare in quegli anni si diventava ”grandi anziani” attorno ai sessanta anni. Questo, grazie alle pessime condizioni di vita del tempo, dove un individuo a quell’età era sfinito per una vita di lavoro iniziata magari ad appena dieci o dodici anni, e portata avanti senza interruzione, e spesso con alimentazione insufficiente. Innanzi tutto, un anziano del tempo, indifferentemente dal sesso, a causa della totale assenza di igiene orale, lamentava la quasi totale perdita dei denti, e quei pochi rimasti erano spesso pesantemente cariati, e causa di frequenti dolorosissimi ascessi dentali, che nei casi più gravi avevano esiti anche fatali. Era però “’l colp” (il colpo) come era chiamato in vernacolo, la causa principale di morte o di invalidità permanente  degli anni sessanta. La medicina preventiva al tempo era praticamente sconosciuta, così, le malattie cardiocircolatorie come pressione arteriosa alta, o il “sangue grosso,” come al tempo era chiamato l’ematocrito alto, disturbi per lo più silenti e spesso sconosciuti anche dall’anziano, erano i principali fattori che causavano infarti, e ictus. Anche la condizione sociale dell’anziano era molto diversa da quella odierna. La Società patriarcale contadina del tempo, faceva si che non era infrequente trovare tre generazioni sotto lo stesso tetto, così, anche se la compagnia non mancava, non era certamente quella utile per l’anziano. Mentre per il sesso femminile, l’eventuale invalidità, con la conseguente “accudienza” di una figlia era ben tollerata, la stessa cosa era quasi impossibile verso il padre o il nonno. Era assolutamente impensabile, per un padre, o un nonno del tempo, farsi lavare, magari le parti intime, da una figlia o dalla nuora, addirittura il semplice aiuto a mangiare, era sdegnosamente rifiutato, per un’atavica forma di “machismo” che voleva l’uomo forte e quasi invulnerabile. Anche chi era ancora parziale autosufficiente la vita non era propriamente idilliaca. Parzialmente o totalmente analfabeta, l’anziano del tempo non aveva interessi, se non quello della saltuaria visita alla cantina, sempre che fosse vicina, il ciccare tabacco, e lo stare seduto al sole d’inverno, e all’ombra in estate, sempre più cupo e ingrugnito, a causa della sua solitudine emotiva. Proprio per questa abitudine che probabilmente è nato l’antico adagio che in dialetto recita così “Marz  mugnon i cav i veci dal canton” (Marzo ventoso leva i vecchi dall’angolo.) Lo stare immobile per ore seduto all’ombra o al sole, soprattutto in primavera, esponeva questi fisici già provati a sbalzi termici importanti che spesso causavano l’insorgere della seconda causa di morte del tempo: la polmonite. Molto più banalmente molti danni lì causava nelle persone anziane, anche la totale, o parziale mancanza dello stimolo della sete, oltre naturalmente al fatto che per loro, chiedere da bere era visto come segno di debolezza. Questo causava, specialmente in estate, disidratazione anche severa, che causava svenimenti con cadute, che spesso procuravano gravi fratture alle ossa lunghe. I “servizi igienici” di quei tempi, poi, non aiutavano certamente una persona anziana a compiere azioni quotidiane, come recarsi in bagno o lavarsi. L’acqua corrente era sconosciuta nelle maggior parte delle abitazioni, quindi oltre ad attingerla al pozzo, in inverno, bisognava riscaldarla e poi trasportarla nel locale dove si intendeva fare toilette. Infatti “il luogo comodo” che poi comodo non lo era per nulla, era un semplice e stretto capanno nell’aia, a disposizione di tutto il borgo, composto da una panchina di marmo con un foro, dove ci si “accomodava” alla turca, cosa non facile per una persona anziana. Quelli della mia generazione, invece, hanno avuto la fortuna, o la sfortuna, e questo dipende dai punti di vista, di nascere a cavallo tra due secoli, in un periodo  in cui il progresso tecnologico ha compiuto un tale balzo in avanti che in altre epoche per eguagliare tale progresso sarebbero stati necessari secoli. Questo ha comportato una moltitudine di “analfabeti informatici” parziali o totali, che ha causato in molti soggetti un vero e proprio isolamento sociale, perché tale funzione vitale oggi, è svolta esclusivamente dai cosiddetti Social Media. E’ invece migliorata sensibilmente la vita, medico-alimentare, dei soggetti anziani di questa generazione, che oggi grazie alle cure preventive, e il migliore tenore di vita ha fatto si che si innalzasse di molto l’aspettativa di vita. Di contro però, il totale cambiamento da Società rurale a industriale, ha fatto sì che venire a mancare totalmente la “compagnia” della famiglia a cui si supplisce sempre più spesso con l’assunzione di “badanti” stipendiate. Purtroppo un servizio così delicato viene svolto quasi in modo esclusivo da persone straniere, senza alcuna specializzazione in tal senso, che fanno quel lavoro spesso ingrato, solo per guadagnare qualcosa. Così, mentre un tempo l’anziano era rispettato e considerato una “saggezza vivente,” oggi, anche se autosufficiente, è visto come un inutile sopramobile da sbolognare a qualcuno, o a farlo soggiornare a vita in qualche Casa di Riposo, (sperando che non sia un lager) o meglio ancora che il buon Dio abbia pietà per figli e nipoti e chiami a se il vegliardo. Quindi, per questa moderna Società, l’aumento esponenziale dell’aspettativa di vita degli anziani non è vista come una vittoria della scienza, ma solo come un inutile e costoso fastidio, per i membri della famiglia che li devono accudire.
Mario Volpi 12.2.23
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