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Sezione a cura di Mario Volpi
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l’autoradio

Una Volta Invece


Oggi l'autoradio non è più neppure considerato un "accessorio" perchè fornito di serie su tutte le auto, anzi, si può dire che sarà presto messo in pensione dalla tecnologia digitale che scaricherà musica e notizie da Internet, magari tramite una semplice porta USB. Ma è stato un vero e proprio "Status Symbol," per più di una generazione affamata di progresso, e che vedeva in esso una forma di libertà intellettuale.

L’oggetto del desiderio; l’autoradio
Negli anni cinquanta, i media a portata di tutti erano solo due, i quotidiani, e la radio. Ma mentre per i primi occorreva almeno saper leggere, cosa non da tutti, per il secondo bastava ascoltare. Le radio del tempo erano monumentali, con la tecnologia a valvole, trasmettevano solo in onde medie, con la ricerca delle stazioni manuali, con scariche e sfrigolii terrificanti. La neonata Rai, da prima con due canali, cui poi si aggiunse il terzo, favorì al massimo la diffusione della radio, anche con la trasmissione in diretta di eventi, al tempo seguitissimi, come il Festival di Sanremo. Agli inizi degli anni sessanta avvenne un fatto che avrebbe rivoluzionato il mondo delle trasmissioni radiofoniche; fu introdotto per la prima volta un congegno quasi fantascientifico, il transistor. Questo mandava in pensione le ingombranti e fragili valvole in vetro, permettendo così di costruire gli apparecchi radio molto più piccoli. Il successo fu travolgente. Apparecchi radio giapponesi piccolissimi, alimentati a batteria, invasero il mercato a prezzi irrisori. Furono miniaturizzati anche gli altoparlanti che divennero dei semplici auricolari. Era divertente vedere, la domenica pomeriggio, le famigliole, a passeggio per le vie o i parchi cittadini, con il padre intento a seguire la partita di calcio trasmessa dalla piccolissima radio a transistor che teneva vicino all’orecchio. Anche per i giovani fu un evento epocale, che permetteva loro di possedere una radio propria, dove ascoltare la musica che preferivano, invece dei giornali radio, o le lacrimevoli commedie, che si era costretti ad ascoltare sulla radio di casa.
Intanto l’Italia cominciava a risollevarsi da quell’immane tragedia che era stata la seconda guerra mondiale, il boom economico era alle porte, e con esso arrivarono anche i primi acquisti di automobili, i cui costi stavano diventando sempre più accessibili. Oggi noi siamo abituati alle auto complete di tutto, ma un tempo non era così. I cosiddetti “accessori” dagli accendisigari, alle eventuali ruote bicolori, erano pagati a parte, e più il loro numero era elevato, più costituivano per i proprietari dell’auto, motivo di orgoglio. Ma l’oggetto del desiderio indiscusso da mettere in auto a quel tempo, era senza dubbio la radio. Il suo costo era ancora elevato, e l’installazione complicata, tanto che richiedeva un taglio sulla plancia, o il montaggio di antiestetici trabiccoli artigianali sotto di essa. Anche il suo funzionamento lasciava alquanto a desiderare, specie durante il movimento, perché s’incappava spesso in zone “d’ombra” in cui il segnale non arrivava. Intanto la Rai cominciò a trasmettere in Modulazione di Frequenza, cosa che migliorava di molto la qualità della trasmissione, ma soprattutto eliminava quasi completamente le scariche e gli sfrigolii. La sintonizzazione in movimento, rimaneva però, una cosa abbastanza complicata, specialmente per il conducente, che doveva farla mentre guidava, e anche la posizione della “Stazione” non si memorizzava, e variava a secondo di dove ci si trovava. Questo problema fu risolto brillantemente da un fisico italiano Federico Faggin, che mise a punto uno dei primi microprocessori, che rendevano più agevole la sintonia e memorizzavano la Stazione. Ma nonostante le difficoltà, la voglia della radio in auto faceva sempre più proseliti, così l’industria cominciò a produrre accessori dedicati, come consolle, antenne e casse acustiche, costruite spesso su misura per un certo tipo di auto, ma anche universali. Lo Stato non si lasciò sfuggire all’occasione di sfruttare per far soldi, questa nuova passione dei cittadini, e tassò il possesso dell’autoradio, e per sovra mercato anche quello dell’accendino elettrico, considerato, chissà perché, facente parte del Monopoli di Stato sui tabacchi. Le trasmissioni radio cominciarono a evolvere, sia tecnicamente, sia nei contenuti, e si assistette addirittura all’avvento della prima “Radio pirata” come qualcuno chiamava al tempo Radio Montecarlo. Era il 1966, e dal Principato di Monaco questa emittente iniziò la prima forma di trasmissione “libera” sostenuta solo dalla pubblicità. Il suo successo fu enorme, tanto che la Rai la trascinò in Tribunale, dove vinse la causa, ma ormai la strada della liberalizzazione dell’Etere era aperta, e dopo dieci anni, quando la Corte Costituzionale sancì il diritto dei privati a trasmettere, erano attive in Italia oltre duemila Radio private. Intanto fu inventato e messo in commercio un sistema di riproduttore su nastro da abbinare all’autoradio, che fu battezzato Stero 8. Era costituito da una cassetta di plastica, simile alle vecchie VHS, che s’inseriva in un’apertura della radio, e assicurava venti minuti di musica ininterrotta. Ebbe però vita breve, soppiantato dalle più pratiche e piccole cassette magnetiche. Ormai tutti volevano l’autoradio, che divenne sempre più bello e tecnologico. Questa vera e propria “moda” dette vita, a un fenomeno sociale in negativo; i furti. I ladri dopo avere spaccato il vetro delle auto, rubavano la radio che poi rivendevano a metà prezzo. Il fenomeno fu così vasto che le Ditte produttrici di apparecchi radiofonici, temendo di perdere clienti, inventarono l’apparecchio estraibile. In pratica era possibile estrarre una parte della radio lasciando attaccata all’auto tutta la parte elettrica. Ma questo sistema era poco pratico, così molti, dopo aver estratto l’apparecchio, anziché portarselo dietro, lo nascondevano sotto i sedili, cosicché i ladri per sicurezza, spaccavano e guardavano, sotto i sedili di tutte le auto provviste di antenna. Fu una ditta italiana, la Bensi che negli anni ottanta brevettò il sistema di estrarre solo il frontalino dell’apparecchio, rendendo finalmente inutile il furto della radio. Oggi, la radio fa parte della dotazione di serie di una macchina, e il suo frontalino, divenuto un display, serve anche a infinite altre funzioni, dal navigatore al telefono integrato, ma per quelli della mia generazione, a quel tempo, sfoggiare su tetto dell’auto una lunga antenna equivaleva a dire al mondo “vedete!” ” Io in macchina ho anche la radio!”

Volpi Mario
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