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Sezione a cura di Mario Volpi
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Galli e galline

La civiltà animale
Spetta/Le Redazione
Con questo, finisce la serie di articoli riguardanti gli animali che sono stati più vicini all'uomo nel suo lungo cammino evolutivo.Visti più dal lato simbolico e religioso, mi piace pensare di essere riuscito a farli conoscere di più alle nuove generazioni, che sicuramente non li hanno mai visti nel loro ambiente naturale.
“Sei sciocco come una gallina!” Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase, nei confronti di un amico o un parente che ha combinato qualcosa di sbagliato!
In realtà, anche se onestamente, non si può affermare che quest’animale, quanto a intelligenza, sia un fulmine di guerra, è assodato da studi scientifici, che per il suo modo di vivere non ne abbia bisogno, attingendo dall’istinto per i bisogni primari. All’interno del pollaio, luogo oltretutto privo di predatori, vige una ferrea gerarchia di beccata, che permette a questo pennuto di vivere all’interno del suo “branco” come fosse un’animale sociale intelligente. Si pensa che derivi da un gallo selvatico presente in India, addomesticato oltre tremila anni prima di Cristo. La sua diffusione, è passata lentamente per l’antica Persia è l’Egitto, per poi arrivare in Europa. E’ sicuramente la Persia, il luogo dove, quest’animale, ha trovato un fertile terreno sociale per il suo attecchimento, e la successiva diffusione nel mondo al tempo conosciuto. In origine, in quei luoghi, il gallo non era allevato come cibo, ma solo ed esclusivamente per i combattimenti, attività ludica al tempo molto praticata. La sua abitudine di cantare all’alba, ha fatto si che la gente lo considerasse da subito, un “messaggero dell’aurora” simbolo degli spiriti della luce, contro quelli delle tenebre. Le popolazioni persiane, ponevano un uovo nelle fondamenta delle case in costruzione, per proteggerla dagli spiriti maligni, mentre nelle tombe, l’uovo era messo come viatico per l’aldilà. Nell’antico Egitto il potente dio Ra, si credeva fosse nato da un gigantesco uovo cosmico, ecco perché sia la gallina, che l’uovo, erano oggetto di cerimonie religiose solenni, e molto sentite. Per gli antichi greci, “l’uccello persiano” com’era chiamata a quei tempi la gallina, era accostata a simbolo della maternità, per la dedizione con cui “madre chioccia” covava e proteggeva i suoi figli. I romani invece lo consideravano soprattutto un animale da allevare per cibarsene. Lo sappiamo con assoluta certezza per via di una vera e propria opera enciclopedica, arrivata intatta fino ai nostri giorni. La Res Rusticae, un vero e proprio trattato di agricoltura, scritto in tre libri da Marco Terenzio Varrone, dove si danno consigli anche sull’allevamento e commercializzazione del pollame. In questo vero e proprio manuale, si spiega come castrare i galli, che diventavano così più grossi e più teneri, e come, con questo espediente, si potesse aggirare la legge che impediva l’allevamento di galline nelle Domus. Oltre a considerarlo come cibo però, anche per gli antichi romani il gallo era un’animale ricco di simbolismi. Per la sua esuberanza sessuale, era associato alla dea Demetra, o “madre terra, ” dispensatrice di vita, il suo carattere combattivo lo poneva al fianco di Marte, dio della guerra, mentre il suo canto mattutino lo affiancava ad Apollo dio del sole. Nel Vecchio Continente, il gallo, e la gallina, vissero il loro periodo di gloria nel Medioevo. Con l’avvento della religione cristiana, il gallo fu subito adottato come simbolo di Cristo, che porta “un’alba di fede nella notte pagana.” Non ha caso questo pennuto e citato spessissimo nelle sacre scritture. Il paragrafo più famoso è certamente, dove si citano i tre canti del gallo, dopo i quali Pietro rinnega Gesù. Per rafforzare il gallo come simbolo dell’Onnipotente, si cominciò a mettere effigi in metallo sulle cime dei campanili, queste banderuole simboleggiavano la vigilanza di Dio sul suo popolo, contro le tempeste provocate dalle tentazioni e dal peccato, da qualunque parte esse provenissero. Polli e galline poi, sempre in quel periodo oscuro, hanno certamente il merito di avere sostentato fisicamente con le loro uova e le loro carni, il popolino, spesso strangolato da tasse e balzelli, che lo riducevano in condizioni economiche miserevoli. Infatti, mentre nelle corti medievali ci si cibava prevalentemente di cacciagione, e di pavoni, allevati a tale scopo, il popolo, aveva imparato ad allevare le galline, lasciate allo stato brado, per usare le uova da mescolare con erbe spontanee, in frittate, e rustiche torte, che hanno impedito la morte per inedia d’intere generazioni. Mentre la nobiltà non si cibava di carne di pollo giudicata “indegna”, attorno al XVI secolo, scoprì l’uovo, anzi il portauovo. Sarebbe più corretto dire che fu più una moda che una necessità alimentare. Costruiti in metalli preziosi, o porcellane finissime, i portauova erano portati in tavola con annesso scaldavivande, dove erano fatte bollire fino a sei uova contemporaneamente. La “decapitazione” dello stesso, poi, ha generato dei veri e propri manuali di bon-ton, con dame e cavalieri che gareggiavano per essere considerati i migliori. L’uovo come rinascita fu adottato anche dalla religione cristiana, tanto che anche ai nostri giorni, è simbolo della Pasqua.
Nella civiltà contadina italiana, fino ai primi anni settanta, il pollame era uno dei capisaldi della vita rurale del tempo. Risorsa alimentare importantissima, e a basso costo, la gallina era anche oggetto di credenze bizzarre, tramandate per secoli. A quel tempo, era soppressa solo quando era palese che non fosse più in grado di fare uova, ma stabilirlo, visto l’alto numero di capi che viveva allo stato semibrado, non era semplice. Così poteva capitare che qualche gallina si avvicinasse al termine della sua vita naturale, verso i dieci anni. Le galline, come tutti i volatili hanno un ovario e un testicolo, fino a quando l'ovario produce uova il testicolo resta dormiente, ma quando a causa di vecchiaia o malattia, come ad esempio la pseudopeste, la produzione di uova cessa, questo si ridesta, e immette nell'organismo della gallina massicce dosi di testosterone, che alla prima muta la fanno diventare a tutti gli effetti, un galletto. Questa inspiegabile trasformazione, era vista come un segno demoniaco, e spesso la povera bestia, era presa di notte, messa in un sacco, e “spersa” in mezzo al bosco, perché non si voleva offendere gli spiriti maligni con la sua uccisione. Altre superstizioni dicevano che i testicoli di un galletto, facessero nell’uomo gli effetti del moderno Viagra, mentre nella donna la facessero partorire con sicurezza un figlio maschio. Il sangue di gallina, spalmato “sulla parte”, attenuava gli appetiti sessuali nei giovani, mentre era certo che una cresta di gallo mangiata alla sera, proteggeva dagli incubi notturni.
Oggi purtroppo, quest’animale è soggetto a un allevamento intensivo, in condizioni disumane, che invano diverse leggi europee tentano di disciplinare. Ovaiole costrette a vivere la loro miseranda esistenza in una gabbia di un metro quadro, insieme ad altre dieci compagne, pulcini macinati vivi perché nati maschi, polli stipati in capannoni illuminati ventitré ore su ventiquattro, perché possano mangiare ininterrottamente per essere pronti al macello dopo appena due mesi. E tutta questa crudeltà per servire un “pseudo-pulcino-pollo” a prezzi irrisori, o per fare crocchette per cani e gatti. Miseranda fine per quello che era considerato un messaggero dell’Aurora.
Mario Volpi
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