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C’era una volta la fraschetta

Racconti

Spetta/le Redazione

Della serie "I arcordi del nònò" vi invio un articolo estemporaneo ispirato dalla vista del fasullo "vino nuovo" in vendita in questi giorni. Purtroppo ormai siamo in pochi a sapere il gusto e il profumo di quello vero, escluso forse qualche piccolo produttore casalingo, non ancora contaminato dalla "chimica dei consumi"

Volpi Mario
23 10 2012

L’altro giorno, mentre accompagnavo mia moglie a fare la spesa al supermercato, ho notato in un angolo un allestimento che voleva riprodurre un vigneto. Dei grappoli d’uva di plastica, pendevano da alcuni tralci di vite dello stesso materiale, avvolti a spirale su dei pali da recinzione per giardino, sotto, sul coperchio di una botticella, alcune bottiglie di vino e un cartello con scritto a caratteri cubitali ”vino novello”. Dopo un sorrisino di compatimento per lo scenografo che, evidentemente non aveva la minima idea di come fosse fatto un vero vigneto, il mio pensiero è andato a ritroso nel tempo, a più di cinquanta anni fa, a quando, in questo periodo, a Carrara e zone limitrofe, imperava incontrastata un’unica insegna; la fraschetta.
Un semplice ramo frondoso, posto sullo stipite superiore di porte e portoni, indicava che in quel luogo vi era una mescita temporanea di vino novello, che era prodotto in loco, e che durava fino a quando la fraschetta diventava secca, ossia fino a esaurimento delle scorte. Si assisteva così a un vero e proprio pellegrinaggio di avventori, quasi tutti cavatori o barrocciai, che, dopo il lavoro, si recavano ad assaggiare “’l biceret” (il bicchieretto) dal Biond ‘n Bonasc’la, o dalla Zopa a Moneta, o da Valè a Mont’verd ( dal Biondo a Bonascola, dalla Zopa a Moneta, o da Valerio a Monteverde) solo per citare i più famosi.
Le misure erano due, il bicchieretto, che conteneva 1/5 di Litro, e che costava 30 £, e la cavalleria che era ¼, e che costava 50 £. Vi era però anche la possibilità di sedersi e fare un partita a carte, in questo caso, era possibile acquistare il vino sfuso in contenitori di vetro, con la capacità di un quarto, mezzo litro, un litro, e due litri. Questi contenitori avevano sul fondo la piombatura che assicurava che la loro capacità era stata controllata dall’ufficio Annonario del Comune. Per incentivare il consumo di vino, l’oste improvvisato offriva, spesso gratis, cibi salati, come saracche, o piccole strisce di baccalà crudo, oppure olive anche queste di sua produzione, seccate al forno e poi salate. Il vino del tempo non era certamente come quello di oggi, la vinificazione avveniva in botti e tini di legno, che una settimana prima della vendemmia erano puliti con una scopetta di saggina, e riempiti di acqua per farli gonfiare e renderli così a tenuta stagna. Era però molto facile che il legno, spesso centenario, trasferisse nel vino odori e sapori non troppo gradevoli, così il cantiniere s’industriava a fare “tagli” con altri vini, fino a quando non giudicava il gusto “passabile”. A quel tempo si preferiva la quantità alla qualità, così si arrivava ad avere un vino di una gradazione alcolica così bassa che spesso, dopo poco tempo, prendeva “ ‘l spunt” (lo spunto) ossia un sapore che ricordava in modo inequivocabile che stava diventando aceto. La situazione economica del tempo poi, aveva insegnato ai produttori di vino alcune tecniche per ricavare il massimo dall’uva, così dopo la svinatura, le vinacce rimaste erano passate allo”strizzo”. Quest’ attrezzo, era una pressa manuale che riusciva a comprimere le vinacce fino a dargli la consistenza del legno, estraendo così tutto il liquido in esse contenuto. Questo liquido infame, che qualcuno si ostinava a chiamare vino, era spesso consumato con parsimonia dalla famiglia dell’oste o del mezzadro. Ma non finiva qui, spesso le vinacce così spremute, erano ributtate nella botte, con aggiunta di acqua, e fate rifermentare, si otteneva la vinella, un liquido di colore rosato, con un vago sentore di vino, da consumare subito, ottimo con le caldarroste. Per parecchi anni il vino novello è stato quasi demonizzato, come prodotto di scarso valore, fino a quando un produttore francese tal Beaujolais, lo rilanciò sul mercato ottenendo un successo mondiale. Oggi quasi tutti i produttori di vino, sfornano in questo periodo, fasulli vini novelli, perché vinificati appositamente, con determinate caratteristiche, oltre a tutto con dei prezzi assurdi. Il vero “vin nov” (vino nuovo) di un tempo è purtroppo morto e sepolto, per il consumo di massa, ucciso anche dalle nuove norme igieniche e Comunitarie, che obbligano ad esempio alla pastorizzazione, e all’imbottigliamento. Solo nei ricordi, ormai sbiaditi, di quelli della mia generazione, rimane l’odore pungente del mosto, le vinacce diventate simili ad un tronco e tagliate con la scure per essere rimesse come fertilizzante nei vigneti, o la vinella spruzzata con la bocca sulle caldarroste ancora fumanti.  E poi lui; il vino nuovo, con il suo inconfondibile profumo, il colore non ancora trasparente, il sapore leggermente abboccato,  ottenuto schiacciando con i piedi, in un vecchio tino, solo, e soltanto uva.


Volpi Mario

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