Cibo da strada nostrano - carraraonline.com

Sezione a cura di Mario Volpi
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Cibo da strada nostrano

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione

Oggi è di moda lo "street food" o cibo di strada che detto in inglese sembra più blasonato,  presente  nelle località più blasonate o esclusive, è consumato da personaggi famosi, o mega ricchi, quindi cose da Vip! Niente di più sbagliato! Anch'io un tempo era un consumatore di "cibo da strada" e avendo poco più di 5 anni non ero certamente un Vip, quindi....

Cibo da strada...nostrano!

Sono numerosissime le trasmissione televisive, che ci propinano filmati di località più o meno esotiche che illustrano, quasi fosse una recente scoperta, l'esistenza in questi luoghi, di un fiorente mercato dei così detti cibi da strada.
La nostra spiccata esterofilia è ormai assodata, e purtroppo ben radicata nell' italiche genti, sempre pronte a emozionarsi per usanze o abitudini di paesi lontani, non pensando che queste stesse tradizioni erano già presenti nel bel Paese da secoli. In terra Toscana, e in particolar modo nella zona Apuana, il cibo da strada esiste da millenni, e non per un'effimera o civettuola moda, ma per necessità, a causa di una miseria feroce, che da sempre ha attanagliato le genti carrarine. Oggi è scontato consumare i tre pasti quotidiani, ma un tempo per la maggior parte della popolazione, questa certezza non esisteva. Per noi bambini si cercava di sopperire a questa "dieta forzata" con le cosiddette merende, costituite quasi esclusivamente da un pezzo di pane con olio e sale, o al più burro e zucchero, questo si, reale "cibo da strada" visto che era li che consumavamo la merenda, magari mentre si giocava a "bombia" o a" piastra e lattino." Un esempio emblematico dei cibi da strada nostrani, era quello consumato dai cavatori. Il lavoro iniziava " a or d bonora" ( a ora di buonora) ossia molto prima dell'alba, perchè quando era ancora notte fonda, bisognava recarsi a piedi alla base della montagna, "al poggio" come era chiamato, per poi inerpicarsi magari con un'altra ora di cammino fino a dove era situata la cava. La colazione-pranzo, consisteva in un mezzo filone di pane, e 20,30 grammi di companatico, infilato in una manica del "matalò" (la giacca) usata a mò di tascapane. Va da se che dopo otto ore di duro lavoro, mentre si tornava a casa il brontolio dello stomaco vuoto era quasi assordante, così quando, arrivati in città si vedeva il castagnaccino, il fischio di richiamo era quasi automatico. Al tempo era molto diffusa la figura del castagnaccino che girava a piedi per la città con una grossa teglia sottobraccio. Il contenuto della stessa era di due tipi, a seconda della stagione, o il castagnaccio, o la calda-calda, che fuori Carrara chiamano "cecina." La torta di farina di castagne, era preparata nei mesi a ridosso dell'autunno-inverno, periodo di raccolta e macinazione delle castagne. Oltre ad essere assai gustosa, questa torta era una vera e propria sferzata di energia, perchè ricchissima di calorie, derivate dalla farina dolce, lo zucchero, l'uva passa, l'olio, e i pinoli. La calda-calda, di farina di ceci, anche se meno ricca, era anche essa un'eccellente spezza fame, oltre tutto al prezzo di pochi centesimi di lire. Per fare capire al lettore come fosse dura la vita al tempo, basta dire che il castagnaccino, di solito il ragazzo di bottega, era letteralmente preso d'assalto da noi bambini, che chiedevamo i "brisoli" ossia le bricciole del contenuto della teglia. Spesso, in occasione di feste particolari, o ricorrenze oggi dimenticate, era possibile acquistare anche le Panizze fritte, o gli Sgabei, ma questi cibi non convenzionali, erano considerati più come leccornie non necessarie, quindi un lusso a beneficio di pochi. Nel primo dopoguerra, la situazione economica, cominciava a migliorare, tanto che si cominciarono a vedere i primi carretti per la vendita ambulante del gelato. Il gelataio si annunciava con il suono di un corno, e poi arrivava pedalando spingendo un monumentale carrettino, con il tipico muso appuntito a prua di nave, per essere più aereodinamico, e la ghiacciaia con il coperchio cromato. Il prezzo del gelato, servito in una tipica "mattonella" di cialda, con due soli gusti, spaziava dalle 5£ fino alle 30£, cose da ricchi, un vero e proprio sogno per i più. Vi erano poi feste particolari, in cui si vendevano cibi tradizionali, fatti e venduti, sulle apposite bancarelle, solo in quei giorni, perchè considerati una prelibatezza "da giorno di festa" quindi una vera e propria pazzia economica da fare in una sola e particolare giornata. Un classico erano le frittelle di baccalà, spesso riempite di bicarbonato di sodio, per farle gigantesche, per appagare l'occhio più che lo stomaco, o le acciughe fritte, queste ad esempio, immancabili alla festa di "San Rumedi" (San Remigio) che si svolgeva a Fosdinovo. Nel periodo estivo poi, lungo le nostre spiagge, operavano numerosi" bombolonai." Con una specie di camice che un tempo forse era stato bianco,  un cappellino bianco calcato sulla fronte sudata, i piedi infilati in un paio di zoccoli scalcagnati, e le gambe abbronzate che spuntavano da un paio di calzoncini corti, questo personaggio percorreva sotto il torrido sole agostano tutto il litorale, trascinandosi appresso una grossa cesta a tracollo, tramite una grossa cinghia di cuoio. Il bombolone è un grosso cannolo di pasta, che veniva fritto con all'interno un pezzo di canna di bambù per mantenere il foro, e poi riempito o di crema o cioccolato, ma tutte e due fatte in modo abbastanza autarchico, visto che le materie prime, al tempo non erano ne economiche, ne facili da fare e conservare. Era famoso anche un'altro dolce tipico di quel periodo, che si chiamava "fiordipesco." Questo era costituito da due brioche semisferiche tenute insieme da un velo di cioccolato e abbondantemente inzuppate di liquore Alchermes, che gli donava il tipico colore rosa. Anche la pizza a quarti era venduta dal bombolonaio, il cui grido tipico era "pizza, bomboloni, fiordipesco al cioccolato, pizzzza!!" Ormai questa figura è praticamente scomparsa. Sul nostro litorale, è rimasto solo il venditore di cocco a pezzi, di solito napoletano, che crea anche un tocco di folclore con il classico grido "cocco! cocco bello!"Ormai i vari locali hanno rimpiazzato i venditori ambulanti di cibo da strada, lasciando in noi di una certa età, uno struggente e malinconico ricordo.

Mario Volpi
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