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Sezione a cura di Mario Volpi
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Figaro

Una Volta Invece

Cara Redazione

Un tempo anche i mestieri erano scelti dai genitori, ovviamente non solo per continuare quello di famiglia, ma anche per garantire al futuro lavoratore una vita relativamente tranquilla. Così chi poteva mandava i propri figli " a bottega" dal ciabattino, o dal barbiere, due mestieri che garantivano con un investimento finanziario modesto, la possibilità di guadagnarsi il pane senza dovere rischiare la vita alle cave. Purtroppo oggi questi antichi mestieri sono scomparsi, lasciandoci tutti un po più poveri di ricordi

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Il cosiddetto”progresso”avvenuto in Italia nei primi anni settanta, ha letteralmente spazzato via professioni millenarie, alcune della quali, infarcite di usanze, riti, e tradizioni, che si perdevano nella notte dei tempi, e che, se profondamente analizzate, avrebbero fornito materiale di studio per intere generazioni di antropologi. Una di queste è certamente il barbiere.
Dal barbiere si andava, per fare barba e capelli, ma soprattutto per essere aggiornati sugli ultimi pettegolezzi del paese, in particolar modo su quelli “pruriginosi,” ossia di corna, vere o presunte, e d’innamoramenti, più o meno segreti. Vi era poi la ragione sportiva, di solito calcio e ciclismo, che impegnava i clienti in attesa, in accese discussioni, che facevano assomigliare la barberia a una rumorosa cantina. Entrare in una barberia del tempo, era come varcare l’ingresso del laboratorio di un antico alchimista, con il suo profumo caratteristico e un pò misterioso, il freddo riflesso del lucido metallo delle enormi poltrone girevoli, lo scintillio dei grossi specchi che prendevano tutta la parete, le mille boccette in bella vista sulle mensole, che contenevano chissà, quali esotiche misture. Erano queste le sensazioni che provavo nell’accompagnare mio padre la domenica mattina dal barbiere. Il Sig.Tommaso, il proprietario, era addetto alle barbe, perche, le sue mani “erano come due farfalle” a detta dei clienti, Giusè, era il garzone, e tagliava i capelli, mentre Robè, di circa quattordici anni, era l’apprendista, e si occupava solo di spazzare i capelli da terra, e di spazzolare i clienti una volta finito il lavoro, con la speranza, spesso vana, di qualche spicciolo di mancia. “Farsi” la barba era un piacevole rito. Prima di iniziare si poneva sul viso del cliente una pezzuola umida e calda, che il Sig. Tommaso prelevava da un contenitore posto sulla stufa a legna d’inverno, o su un fornello elettrico d’estate. Si passava quindi all’insaponatura, che nella mia fantasia infantile, faceva assomigliare la faccia di mio padre a quella di Babbo Natale, poi dopo aver preso il rasoio a mano, e averlo sfregato vigorosamente sulla coramelle fissata alla parete, si passava al taglio. Quest’operazione mi procurava una sanzione tra lo stupore e la sofferenza. Vedevo l’affilatissimo rasoio scivolare con decisione sul volto di mio padre, asportando riccioli di schiuma punteggiati da peli di barba, con una velocità che, certamente, da un momento all’altro, l’avrebbe ferito gravemente. Ogni volta accoglievo con un sospiro di sollievo l’ultimo colpo di rasoio, dopo di che, il barbiere prendeva uno spruzzatore, e inondava letteralmente la faccia di mio padre di una sostanza profumata, quindi con un altro panno lo asciugava e dopo avergli tolto la mantellina di cotone, gli diceva un elegante “fatto”. Stimolava molto la mia fantasia anche quando mi dovevo tagliare i capelli. Il barbiere mi faceva sedere su una specie di seggiolone con, tra le gambe, una testa di cavallo in alluminio con tanto di briglie in cuoio. Così, accompagnato dal monotono ticchettio della macchinetta a molla, io fantasticavo di sfrenate cavalcate, ma spesso era talmente lunga l’operazione che mi addormentavo. Ho continuato ad andare da Tommaso anche in età adulta, e ho assistito con rammarico al lento ma inesorabile declino della sua professione. Un tempo, specie il sabato e la domenica mattina, vi era una lunga coda di clienti ad aspettare il proprio turno, ed io mi divertivo moltissimo, quando entrava qualcuno che chiedeva quanto vi fosse da aspettare, a sentire l’immancabile risposta del barbiere ”cinque minuti” che si trasformavano immancabilmente in più di un’ora. La comparsa sul mercato dei nuovissimi rasoi elettrici, e di quelli usa e getta dal costo di poche lire, insieme alla bomboletta di schiuma da barba già pronta, inflissero il primo duro colpo alla categoria dei figaro, i giovani erano attirati dalla tecnologia, e dalla rapidità, piuttosto che dalla tradizione. Nel 1981, con la scoperta del terribile A.I.D.S. il numero dei clienti calò ancora drasticamente, questa volta per paura del contagio. A ragion veduta, facendo salva l’estrema perizia e professionalità dei barbieri di un tempo, devo dire che le norme igieniche lasciavano più che a desiderare! Il rasoio a mano libera, era lo stesso per tutti, e qualche volta provocava dei piccoli sanguinamenti che erano fatti cessare con un blocchetto di allume di rocca, sfregato direttamente sulla ferita. Per combattere il calo dei clienti molti barbieri introdussero l’uso del rasoio con lame usa e getta, mentre altri stipularono dei veri e propri abbonamenti, in cui il cliente aveva diritto a un certo numero di barbe, e un taglio di capelli in un determinato tempo, e a un costo molto contenuto. Nonostante ciò, la maggior parte di loro si vide costretto a rinunciare a fare le barbe, un pò per i problemi di ordine sanitario, ma soprattutto per un fattore economico, era troppo il tempo impiegato nella rasatura in confronto al suo costo. Oggi purtroppo le barberie sono totalmente scomparse, soppiantate dai saloni unisex, dove il coiffeur, ha sostituito, anche se non del tutto il barbiere.
Sicuramente quelli della mia generazione sono stati privati di un piacevole servizio, ma certamente è molto più grave, che quelli delle nuove generazioni, non lo abbiano neppure conosciuto.
Volpi Mario

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