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Sezione a cura di Mario Volpi
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Ortaggi

Una Volta Invece
Spetta/Le Redazione
La primavera invoglia molte persone a cimentarsi nella coltivazioni di giardini o piccoli orticelli. Oggi questo è prettamente una attività di svago, ma ai miei tempi.....
Ortaggi.. con le pinne!

Al contrario di oggi, ai miei tempi, purtroppo assai lontani, la Primavera non era la benvenuta tra noi ragazzi più grandicelli, e questo per una buona ragione, almeno dal nostro punto di vista, cominciavano le fatiche per la coltivazione dell’orto.
Mentre l’aratura, e il taglio del fieno nei campi, erano prerogativa del fattore e dei suoi numerosi aiutanti, per il dissodamento, concimazione e piantumazione dell’orto, gli attori erano principalmente due, la fattora, e i figli più grandicelli. Si cominciava alla fine di gennaio, a preparare il terreno nel semenzaio. Questo era costituito da una sorta di grossa vasca di mattoni, alta circa mezzo metro, con la sommità coperta da un grosso spiovente in vetro rivolto verso Sud-Sud Est, che si poteva sollevare. Dopo aver ben lavorato la terra al suo interno, con l’aggiunta di stallatico maturo sbriciolato finemente, si aspettava che fosse luna buona per procedere alla semina d’insalata, o pomodori, i due ortaggi che avrebbero costituito la base dell’alimentazione dell’intera famiglia nei mesi a venire. Intanto sotto la direzione della madre, i figli più grandi, dopo aver caricato sulla “tragia” (una specie di slitta trainata da una mucca) il letame, cominciavano a spargerlo nel campo evocato a orto. Poi, ognuno con la vanghetta fatta a sua misura, iniziava il dissodamento, cercando di rivoltare bene la terra, perché prendesse “aria” come si diceva a quei tempi. Dopo circa venti giorni, la madre andava nel semenzaio e dopo averlo abbondantemente annaffiato per ammorbidire il terreno, estirpava delicatamente le piantine d’insalata più vigorose, cercando di non danneggiarne le radici, per poi trapiantarle nell’orto che nel frattempo era stato accuratamente rastrellato. I pomodori invece avevano bisogno di solchi, e di un’armatura di sostegno. Questa comportava un vero e proprio lavoro di “carpenteria rurale”: si cominciava piantando le canne di fiume, precedentemente scorzate, nelle sommità dei solchi opposti, formando una specie di capanna, legata a circa un palmo dalla cima con il “torchio” (salice) e tenuta ben ferma da una serie di canne fissate orizzontalmente, quindi con il “piantatore” (un pezzo di legno appuntito) si praticava un foro alla base della canna, e si metteva a dimora la piantina di pomodoro. Si doveva poi annaffiare, e dopo legare, e dopo passare il verderame, e dopo estirpare le erbacce, e dopo …. insomma il lavoro non finiva mai. Che dire poi se la stagione si rivelava più piovosa del solito. Le chiocciole di notte banchettavano allegramente con l’insalata più tenera, lasciando le nude e dure coste, mentre i pomodori, erano colpiti sulla punta, dal “male nero” come si chiamava al tempo questa patologia. Oggi, per fortuna, questi ortaggi, veri e propri scrigni di vitamine e sali minerali, utilissimi per la nostra salute, sono di uso comune, reperibili tutto l’anno e sopratutto a basso costo. Questo è merito della tecnologia che ne ha facilitato la coltivazione con metodi quasi fantascientifici, come ad esempio la coltivazione idroponica. Questa nuova tecnologia riesce a far prosperare le piante senza essere messe a dimora nel terreno, utilizzando un sub-strato di materiali inerti come polistirolo, gusci di noci di cocco, o lana di roccia, immersi in una soluzione di acqua e sostanze nutrienti. I vantaggi sono evidenti: prima di tutto essendo questi impianti all’interno di serre ad alta tecnologia, permette la produzione tutto l’anno, con l’utilizzo di  poco personale, anche se altamente specializzato, con un grosso abbattimento dei costi produttivi. Altri vantaggi sono la totale assenza di erbe infestanti, un uso quasi nullo di fitofarmaci, e un risparmio altissimo di acqua, perché è utilizzata in un circuito chiuso, e quindi riciclata all’infinito. Questo sistema poi permette un notevole risparmio di terreno, perché è possibile fare l’impianto anche in capannoni industriali dismessi, in zone fortemente degradate, ciò, in un prossimo futuro, sarà essenziale per sopperire alla crescente distruzione di campagna per opera dell’urbanizzazione selvaggia, a seguito di un incontrollabile aumento demografico della popolazione umana. Questo tipo di coltivazione poi, permetterà anche alla popolazione del terzo, e quarto mondo, di accedere a una fonte di cibo a prezzi accettabili, bandendo, si spera per sempre, lo spettro della fame per la nostra specie.

Mario Volpi
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