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Pietà per un povero frate

Caprione
La Prima Ora era passata da poco nella palude che costeggiava l’antica Lunae. Durante la notte vi era stato un violento temporale estivo, e ora il sole che stava sorgendo, faceva risplendere le gocce di pioggia sulle foglie, quasi fossero preziosi diamanti. Una leggera brezza proveniente da sud, portava il salato olezzo del mare, e faceva ondeggiare dolcemente le cannelle palustri, e i “pifferi,” con il loro caratteristico pennacchio marrone simile a una carota. Rondini e rondoni, volavano garrendo in un cielo così azzurro e terso, da sembrare dipinto. Sfiorando le scintillanti pozzanghere, si tuffavano nel mezzo di ronzanti nugoli d’insetti, per poi risalire in alto agilmente, pronte per un altro tuffo. Stormi di bianche garzette, cercavano chiocciole e vermi nei prati semiallagati, mentre imponenti aironi cenerini, perlustravano lentamente gli stagni, arpionando con i loro lunghi becchi piccoli pesci e raganelle, che nonostante ciò, non cessavano il loro sonoro e monotono concerto. Nei fitti canneti, si udiva il canto d’amore delle canaiole, mentre nel vicino pioppeto, una leggera e impalpabile bianca lanugine, trasportata dal vento cadeva leggera, ricoprendo il terreno, quasi fosse una nevicata invernale. Un’imponente macchia di rovi, era tagliata in due, da un sentiero, che dopo aver costeggiato un laghetto, si allargava un poco, per poi sparire nel fitto pioppeto. Anche se non pareva, quel piccolo passaggio era l’importantissima Via Francigena, che ogni anno dall’inizio della primavera, fino alla fine dell’autunno, era percorsa da centinaia di pellegrini, diretti verso Roma, Santiago de Compostela, o Taranto, per imbarcarsi verso la Terra Santa. Anche i marcanti la utilizzavano per i loro commerci, e purtroppo, era frequentemente battuta da bande di masnadieri, per effettuare razzie e rapine, spesso sanguinose. Il frinire delle cicale cessò di colpo, segno che qualcosa, o qualcuno si avvicinava. Dopo poco, proprio nel bel mezzo della macchia, apparve una macilenta figura, che quasi trascinava uno scheletrico asinello, che portava sul basto due grosse sacche rigonfie. Era un frate. Il capo era nascosto dal cappuccio di un consunto saio, tanto logoro, che l’orlo inferiore, tutto sfrangiato, lasciava nudi i polpacci, i piedi, sporchi di fango, erano calzati in un paio di malandati sandali di ginestra. Il sant’uomo doveva essere già in età avanzata, perché si sorreggeva a fatica a un lungo e nodoso bastone, alto due piedi più di lui, che lo aiutava a camminare. Stava per attraversare il fitto pioppeto, quando accadde. Quattro uomini armati di coltellacci, sbucarono all’improvviso dalla selva sbarrandogli la strada. Uno dei quattro gli si avvicinò e gli disse “ Frater, hai le bisacce belle gonfie, cosa porti?” Il povero frate fece un malfermo passo indietro e balbettò “pietà per un povero frate” Ridendo i quattro ladroni si avvicinarono, e quello più vicino dopo aver riposto il coltellaccio alla cintura, si avvicinò all’asinello e aprì una bisaccia. Quando vide che conteneva solo paglia, l’espressione della sua faccia passò in un secondo dallo stupore, alla rabbia. Ma proprio in quell’attimo il “povero frate,” scattò come una molla. Roteando con maestria il bastone, lo colpì violentemente di punta, esattamente in mezzo agli occhi, mettendolo fuori combattimento. Muovendosi velocemente e con destrezza, schivò un fendente di un ladrone, mentre in una frazione di secondo quasi contemporaneamente, colpiva ambedue  alla testa quelli ai suoi fianchi, che caddero a terra senza un gemito. Il quarto, tentò di sferrare un affondo con il coltellaccio, che il frate parò con estrema facilità, prima di affibbiarli un terribile colpo, proprio al centro del capo. Con un rumore simile a una noce che si spacca, il brigante piegò le ginocchia e cadde a terra di colpo, come un burattino a cui avessero tagliato i fili. Il tutto era durato il tempo di un sospiro.  Il frate si tolse il cappuccio, e si mostrò per quello che era in realtà. Un uomo molto giovane, nel pieno della forza e dell’età, con le membra possenti e ben proprzionate, con mani forti e nodose, avvezze al maneggio delle armi. Il bel volto maschio, era incorniciato da una curata barba biondiccia, che quasi faceva un tutt’uno con la fluente e lunga chioma dello stesso colore. Si avvicinò a una bisaccia in groppa all’asinello, e dopo averne estratto un corno, emise un lungo richiamo, che ebbe l’effetto di far tacere anche le raganelle. Quasi subito un suono simile gli rispose. Dopo poco, un rumore di cavalli al galoppo fece ripiombare nel silenzio cicale e raganelle, e sul piccolo sentiero apparvero sei armigeri, armati di tutto punto, che portavano al seguito un magnifico stallone nero completamente bardato. Il capo manipolo smontò di sella, e salutò rispettosamente il “frate.” Poi ordinò agli uomini di occuparsi dei banditi. Senza tanti complimenti con sonori schiaffoni fecero rinvenire i tre ladroni, perché per il quarto, la sua permanenza in questo mondo era finita. I soldati spogliarono completamente i vivi e il morto, e consegnarono le armi e i vestiti al frate. “Sua Signoria,” disse rispettosamente il capo manipolo, “questi sono le vestimenta e le armi per il Convento, i manigoldi si rifiutano di svelare dov’è il loro campo con il resto della banda, ma penso che Venceslao il carnefice saprà convincerli” “ ne sono sicuro anch’io” rispose con un mezzo sorriso il finto frate, riponendo armi e vestiti in una bisaccia sul dorso dell’asinello. Pensò che il Superiore sarebbe stato lieto di poter donare quei vestiti a qualche pellegrino, mentre Padre Ernesto, il fabbro avrebbe trasformato i coltelli, in falci e zappe. Balzato in sella al nero destriero, il giovane, s’incamminò al passo, trainando dietro di se l’asinello. Alla Terza Ora, era già a Lavenza, dove il Padre Superiore Romualdo, dopo averlo ringraziato per quanto ricevuto, gli offri una gustosa zuppa di verdure di stagione, insaporita con un grosso pezzo di lardo. Esperto cavaliere, e maestro d’armi, il Marchese Adalberto Malaspina dello Spino Fiorito, Signore di Fosdinovo, aveva scelto di servire Dio in quel modo, pattugliando la Via Francigena nel tratto che andava da Aula, (Aulla,) a Lavenza, (Avenza) travestito da frate o mercante, per proteggere i pellegrini dai ” rubatori delle strade,” che faceva spogliare di ogni loro bene, per donarlo al Convento, per poi consegnarli a Venceslao, che li decapitava come monito per tutti, sulla pubblica piazza del Marchesato.

Liberamente tratto da una storia vera.
Mario Volpi
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