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Monumento il Cavallo

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Il Cavallo del console Curzio Marco, collocato in un angolo della via Carriona, dopo il Nuovo Ponte delle Lacrime, a ridosso di uno sperone delle vecchie mura cittadine, all’altezza del Baluardo, è una scultura incompiuta in marmo del Basso Impero, una caratteristica statuetta equestre, posta in nicchia, che ha dato il nome al luogo. Rappresenta il Console Marco, il leggendario cavaliere romano che nel 362 a.C. al fine di placare gli dei irati, che salta  in una voragine infuocata, perché   la leggenda della fine gloriosa del Console romano ha fatto entrare quest’opera nella cultura popolare carrarese? La vicenda è narrata da Tito Livio intorno al 393 a.C.,  infatti  riporta che il giovane patrizio romano si sarebbe precipitato armato di tutto punto, a cavallo, in una voragine apertasi nel Foro Romano, così da chiudere il cratere fiammeggiante gettandovi quanto Roma aveva di più valoroso e caro; il Console non esitò a fare sacrificio della propria vita.
Ecco ciò che riporta l’Enciclopedia Treccani :
“Curzio Marco (lat. M. Curtius). - Leggendario console e cavaliere romano che nel 362 a. C., apertasi nel Foro una voragine che non poteva essere colmata se non con il sacrificio di ciò che i Romani avessero di più prezioso, ritenendo che nulla fosse più prezioso delle armi e del valore vi si gettò  armato e a cavallo; il luogo fu detto  lacus Curtius. Secondo altri invece tale nome sarebbe derivato da quello del sabino Mezio Curzio, che vi cadde durante la battaglia tra Romolo e Tito Tazio”.
CURZIO, Marco. - Nel 362 a. C. si aprì nel Foro di Roma una voragine, e gli aruspici o i libri Sibillini ammonirono che per colmarla bisognava sacrificare in essa quello che il popolo romano aveva di più prezioso. Mentre gli altri erano incerti, un valoroso cavaliere, Marco C., chiese se vi fosse per i Romani un bene maggiore delle armi e del valore, e armato e a cavallo, votandosi agli dei inferi, si lanciò nell'abisso, mentre tutti gettavano su di lui doni ed offerte.
Marco Curzio
Pittura di Benjamin Haydon, Marco Curzio si getta nella voragine, alla
National Gallery of Victoria.

(Foto da Internet, Wikipedia, Marco Curzio), 2013

Perciò il sito della voragine, che si richiuse su di lui, fu detto lacus Curtius, e vi sorgevano  un puteale, tre alberi ed are per il culto dell'eroe. Per altri invece il nome veniva da un sabino Mettius Curtius, che al tempo di Romolo era caduto col cavallo in una palude che da lui avrebbe preso il nome, o dal console del 445 C. Curtius Philo, che aveva per ordine del Senato ricinto quel luogo, che era stato colpito dal fulmine. Il sacrificio di Curzio Marco è rappresentato in un celebre bassorilievo del Museo Mussolini, e gli avanzi del lacus furono scoperti nel Foro nel 1904.
Da Wikipedia Internet :
La leggenda narra che nel 362 a.C. nel Foro Romano si apri una voragine apparentemente senza fondo. I sacerdoti interpretarono il fatto come un segno di sventura, predicendo che la voragine si sarebbe allargata fino ad inghiottire Roma, a meno che non si fosse gettato in quel baratro quanto di più prezioso ogni cittadino romano possedeva.
Il giovane patrizio Marco Curzio, uno dei più valorosi guerrieri dell'esercito romano, convinto che il bene supremo di ogni romano fossero il valore e il coraggio, si lanciò nella fenditura armato ed a cavallo, facendo così cessare l'estendersi della voragine.
Questo auto sacrificio agli dei inferi (Mani) era detto devotio.
Il luogo dove si formò la voragine rimase nella leggenda con il nome di Lacus Curtius. La leggenda è narrata da Tito Livio nei suoi Annali (VII,6).
Il grande attore Antonio de Curtis, in arte Totò, sosteneva che la sua famiglia discendesse da questo personaggio leggendario.
Ritornando alla scultura della Porta del Cavallo, dire che sia bella è troppo: è una scultura della sua epoca, un po’ mal ridotta per il tempo trascorso ed avendo avuto
la  manutenzione quasi inesistente, oppure perché non terminata, si ritrova in quelle condizioni esposta a tutte le intemperie, pensando forse a uno scarto di uno dei numerosi studi di scultura esistenti anticamente in quel rione della città, ma rimane un’opera da risparmiare e da vedere, anche per la sua leggenda, per quanto riconducibile ad una cultura ed a una storia prettamente carrarese.
Alcuni dati sono stati ripresi dai cartelli che il Comune ha posto all’esterno delle costruzioni, ma quello della Chiesa delle Lacrime è stato probabilmente asportato oppure il tempo, anzi il maltempo l’ha eliminato, lasciando la tavola appesa alla cancellata, dove faceva la sua bella figura per tutti i turisti che non potendo vedere l’interno,  possono osservare almeno la facciata e leggerne la breve storia.

Lucio Benassi     Carrara, 22 luglio 2013

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