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La partita

Caprione
La partita
 
Liberamente tratto da una storia vera.
 
Ci sono storie che vanno raccontate. Questa parte dalla voce di un vecchio rotta dalla commozione, da alcune strascicate parole colte fortuite. Era il 27 Marzo del 1944 quella doveva essere una semplice partita di pallone…..
·         Capitolo primo – L’incontro

Era una mattina d’inizio estate, aprii gli occhi e gettai un’occhiata alla sveglia sul comodino, vidi che segnava le sette. Dalle tapparelle filtrava una luce meravigliosa e l’aria  fresca e “sana” che entrava nella mia camera era un invito per  il mio giro preferito in bici. Così dopo il caffè salii sulla mia mountain bike e iniziai a pedalare su per Ameglia fino a scollinare  Montemarcello per poi raggiungere Lerici e San Terenzo. Quelle discese sono esaltanti, è bellissimo sfrecciare giù a tutta velocità sognando di essere un corridore al giro d'Italia e fantasticare di sorpassare in volate immaginarie i grandi nomi del ciclismo.
A Lerici nella piazzetta di fronte al castello c’è il mio bar preferito. Il locale all’interno è arredato con gusto, mentre all’esterno alcuni gazebo creano un’ombra ideale per dei tavolini in legno ed è li che a me piace sedermi e fare colazione. Oltre che per il caffè e la sublime millefoglie mi piace quel posto perchè da lì  posso  osservare il  piccolo porticciolo. E' come un quadro: gozzi di varie forme, misure e colori ondeggiano cullati da piccole onde, mentre vecchi pescatori intenti smagliano le loro reti. Li seduto respiro il profumo del mare.
Anche quel giorno mi fermai  a far colazione e poi ripartii sul mio cavallo a pedali con l'intenzione di fare il solito itinerario all'incontrario ma oltrepassato la serra mi ricordai di un sentiero che scende da Zanego e che arriva ad Ameglia. E' una vecchia mulattiera nel bosco battuta un tempo dai pellegrini e commercianti che volevano dall’entroterra  raggiungere il mare.
Ed proprio alla fine di questo viottolo che tutto ebbe inizio.
Dopo una quindicina di minuti la mulattiera lascia il bosco e diventa una piccola stradina rettilinea sterrata tra i campi e porta ad una delle chiese del paese. Su quel percorso bucai, mi fermai per la riparazione e mentre armeggiavo con gli attrezzi mi si seccò la gola dalla sete, presi la boraccia e mi accorsi che era vuota. Sostituita la camera d'aria  avevo le  labbra secche e la  gola talmente impastata, che decisi di raggiungere una vecchia abitazione in sassi a meno di duecento metri da me per chiedere un po’ d’acqua. La costruzione si raggiunge tramite una stradina laterale che dalla sterrata principale curva a destra e conduce all’aia della casa che si trova tra un un campo rettangolare e un intreccio di  grossi rovi e alte acacie. A ridosso della casa all’ombra di un grosso fico morino un vecchio se ne stava seduto su di una sedia di legno e paglia. Sul tavolino verde chiaro in formica c’era un mezzo fiasco di vino rosso, un bicchiere vuoto e nell’angolo una vecchia cuccia sgangherata, nient’altro. Ebbi da subito l’impressione che il vecchio vivesse solo in quell’abitazione, alle finestre non c’erano panni stesi e l’aia era priva di fiori, due realtà che generalmente si associano ad una presenza femminile. Era un uomo basso e robusto oltre l’ottantina, con un viso rotondo arrossato e da sotto il panama color paglia fuoriuscivano capelli grigi. Vestiva con una camicia a quadri a mezze manica e un paio di calzoni di cotone verdolini un po bisunti. Lo raggiunsi  e con un sorriso lo salutai e gli chiesi dell’acqua. L’uomo non rispose nè si scompose, rimase immobile sulla sua sedia, aveva gli occhi aperti ma velati come il cielo milanese nelle giornate nebbiose. Pensai che forse non mi aveva sentito e riformulai la mia domanda con voce più alta, ma con un tono educato e civile. Passò un minuto prima che con un sospiro e un piccolo gemito rinvenisse. In quegli attimi notai che i suoi occhi erano fissi e puntati su quel pezzo rettangolare di terra. Il campo confinante la casa aveva ai due lati opposti due pali di legno per ciascuna parte e mi ricordava un campetto da calcio. “Certo, certo” rispose il vecchio alzandosi dalla sedia e sbadigliando mi invitò a seguirlo in casa per riempire la boraccia. In quei pochi passi che dividevano l’aia dalla porta strascicò alcune parole: “ Era il 27 marzo del 1944, quella doveva essere  una semplice partita di pallone  quando”… reticente si bloccò e nella sua voce percepii un tono di commozione. Mi fermai sull’uscio della porta e gli allungai la boraccia e dopo poco me la rese riempita. Lo ringraziai e gli chiese se avesse voglia di raccontarmi di quel giorno, quelle parole avevano già suscitato in me mille domande. Dopo una breve pausa con voce aspra rispose che era stanco e magari un'altra volta mi avrebbe raccontato.
  • Capitolo secondo – “La partita di pallone

Lo salutai e ripresi a pedalare fino a casa. Dopo una doccia rigenerante mi distesi comodamente sul divano e ripresi a leggere L’ultima notte di Heinz von Fait, un libro ispirato ad un massacro di ebrei perpetrato dai nazisti negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. Non so perchè mi ritornarono prepotentemente in mente le parole del vecchio. Così contattai in chat una mia amica che come me ha la passione per la storia locale e gli raccontai di quell’incontro.
- Partiamo da quella data- mi disse- e mettiamoci alla ricerca. Dopo pochi minuti ricevetti una notifica sullo smartphone,  era lei che mi ricordava che tempo fa gli avevo parlato di una lapide trovata in uno dei miei giri sul Caprione. Aveva ragione ma non ricordavo dove l’avevo vista. La sera dopo sullo schermo del cellulare apparve il suo avatar e mi scrisse :
mettiti comodo ho da raccontarti del plotone perduto e  di cosa successe quel 26 marzo 1944. Era una domenica di Quaresima e come facevano in tutti i giorni di festa alcuni ragazzi di Ameglia nel tardo pomeriggio si ritrovarono al campetto a tirar calci al pallone.  Dei tedeschi in libera uscita che provenivano dalla vicina  villa dell'Angelo a Bocca di Magra li raggiunsero lì e giocarono contro di loro. Vinsero i ragazzi italiani ma i nazisti non presero bene la sconfitta e stizziti dissero qualcosa  come, si, oggi abbiamo perso ma ieri sera…. e esclamarono un paio di volte con voce autorevole  “Kaputt Kaputt “. Poi uno di loro mimò il gesto del mitra puntando il dito verso la Punta Bianca e con le mani fece il numero 15, dopo di che tirò fuori dalla tasca dei calzoni un fazzoletto a stelle e strisce e asciugandosi finte lacrime fece scoppiare i suoi commilitoni in una gran risata ironica.
Poi scuotendo le spalle i soldati abbandonarono il campetto lasciando quei giovani perplessi, basiti: quella non era stata una semplice partita di pallone ma un atto di guerra.
- Ecco! - esclamai bloccando il racconto in chat della mia amica.
- Ora ricordo benissimo, quando hai detto Punta Bianca mi hai fatto venire in mente quella lapide murata sull’esterno del bunker.
- Che c’è scritto? mi chiese  Aine, quello era il suo pseudonimo.
- Un attimo, la cerco - risposi. Dopo un paio di minuti gli mandai la foto e constatammo che tutto tragicamente tornava, che tutto era vero.
- Porca vacca!  esclamai - che storia assurda viene alla luce dal racconto di un vecchio su una partita di 70 anni fa.
Il testo della lapide riportava : “In questo luogo vennero fucilati il 26 marzo del 1944 dai nazisti 15 soldati italo americani della missione Ginny”. Seguì un breve silenzio  e in quel silenzio entrambi pensammo la stessa cosa. Poi nella chat il puntino che indicava che lei stava scrivendo riprese a muoversi.
- Così rientrati in paese uno dei ragazzi raccontò l’aneddoto al prete che in seguito fece giungere le notizie al comando statunitense che iniziò a indagare sull’ accaduto. Sai Pier, i 15 militari uccisi portavano tutti cognomi italiani e due di loro addirittura erano nati in Italia.
- Ma come andarono i fatti ? - le chiesi.
- Allora, la Missione Ginny ( dal nome di  una fidanzata di uno di quei soldati)....
- Dai racconta - scrissi impaziente di sapere il resto.
- I 15 uomini in questione erano specialisti in spionaggio e sabotaggio, dopo che la Corsica fu liberata gli fu affidata la missione di far saltare un tunnel ferroviario della linea Genova – Pisa all’altezza di Framura per interrompere le comunicazioni tedesche lungo la linea Gustav. Il primo tentativo fallì, i soldati sbarcarono su tre gommoni calati da due motosiluranti in un punto sbagliato della costa e il blitz venne annullato. All'incirca un mese dopo e precisamente il 22 Marzo 1944  la missione venne ripetuta ma il plotone fu fatto prigioniero dai nazisti. Il Generale Anton Dostler  ne ordinò  la fucilazione infrangendo così le regole della Convenzione di Ginevra che impediva l’esecuzione di soldati nemici catturati in divisa.
- Ma che infame quel bastardo tedesco - commentai.
-Si sono d’accordo. Ma non sai come, ora te lo racconto.
Era Il 24 marzo del 44 i soldati dopo essere stati catturati furono condotti a Bonassola e rinchiusi nella sede del fascio, dove vennero interrogati e torturati. Il giorno dopo li portarono nelle vicinanze della batteria De Luti a Montemarcello, lontano dal luogo della cattura e li il 25 furono brutalmente massacrati e  sepolti in una fossa alla Ferrara. Contrariamente a quanto era stato detto sino a oggi  non furono fucilati ma vennero trucidati si pensa  a colpi di badile e alcuni pare siano stati  sepolti  ancora vivi. Queste ultime frasi mi fecero gelare il sangue nelle vene, ma come si può mi domandai, ma come. Poi con rabbia  le mie mani nervose ed impazienti volarono sulla tastiera e le chiesi che fine avesse fatto quel bastardo . Conoscendo Aine sapevo che avrebbe approfondito tutta la storia. Lei è un’infaticabile ricercatrice di fonti storiche, sempre attenta, precisa e  scrupolosa, un ottima collaboratrice. Passò meno di mezzo minuto ed ebbi la conferma di ciò che pensavo e scrisse:
- Per quell’eccidio di Punta Bianca Anton Dostler fu  processato e nonostante si difese sostenendo che eseguì un ordine venuto dall’alto il primo dicembre del 1945 fu fucilato.
- Peccato! - esclamai - avrei voluto che avesse avuto una lunga e dolorosa agonia, quel lurido verme. Purtroppo la sua morte non è servita a riportare in vita quegli eroi che come altre centinaia di migliaia di persone hanno lasciato le loro case, le mogli e figli per combattere in Europa la guerra che ci ha reso tutti liberi.
- Vero, rispose Aine è grazie a loro se oggi i nostri ragazzi possono studiare, giocare, sognare e sperare in un mondo migliore, grazie a loro se oggi siamo liberi. Giusto Pier, la morte di Dostler non riportò in vita quei 15 uomini ma almeno hanno avuto giustizia.
- Si, hai ragione - le scrissi, seguì un breve silenzio poi Aine riprese a scrivere.
- Appena puoi  vai dal vecchio e chiedigli se lui era uno di quei ragazzi che tirava calci al pallone. Dai, ciao e fammi sapere al più presto.
- Certo - risposi- ora ho delle giornate piene, ma appena potrò ci andrò.

·         Capitolo terzo – “Troppo tardi”

Poi dopo esserci salutati  con un gesto di nervosa impazienza chiusi il telefono. La domenica successiva per far prima presi lo scooter e  mi recai dal vecchio. Arrivai che erano le 10.30 faceva caldo, le persiane della casa erano chiuse, la sedia era vuota, riposta a modo sotto il tavolo, tutt’intorno c’era un silenzio denso, quasi surreale, spezzato di tanto in tanto dal frinire delle cicale. Bussai alla porta più volte ma non ottenni riposta, allora mi misi ad origliare contro il battente cercando di carpire un rumore, un segnale, ma nulla, non sentii nulla.  All’ombra del fico pensai  che forse l’uomo  era andato a fare la spesa oppure a svolgere delle commissioni o semplicemente dal medico. Di lui non conosco neppure il nome, l’ho  immaginato come una persona buona, un vedovo sicuramente. Così sfilai la sedia da sotto il tavolo mi sedetti e decisi di aspettarlo.
Li seduto guardavo il vecchio campetto di fronte a me e iniziai a chiedermi diverse cose.
Per prima cosa,  come mi aveva  suggerito anche Aine  volevamo sapere se lui era sul quel campo polveroso quel 27 marzo del 1944. Se era stato lui a raccontare al prete dell’accaduto. Oppure Se ricordava la faccia di quei tedeschi, o cos’altro aveva visto, sentito, oppure cosa sognava rincorrendo quella palla, forse sperava di diventare come il suo campione preferito, e chi era. E poi ancora cosa ……
Li seduto, rividi quella partita, mi sembrava di respirare quell’aria  polverosa e di  vedere la gioia di quei ragazzini che esultavano al gol e la faccia cupa dei tedeschi dopo averlo subito. Poi guardai l’orologio e mi accorsi che era già più di un ora che ero li ad aspettare, così decisi di andare all’altra casa poco distante a chiedere. Una signora sulla settantina stava lavando dei panni alla fontana nella piccola corte e quando sentì il rumore dello scooter si girò a guardarmi,s i asciugò le mani al grembiule bianco a righe blu che aveva in vita e mi salutò. Contraccambiai e gli chiesi dell’uomo che abitava nella casa di fronte.
- Chi? il povero Renato? se ne è andato martedì sera nel sonno, lo abbiamo trovato morto solo nel suo letto la mattina successiva. Rimasi di sasso: - ma, ma come, l’ho visto l’altra domenica. Stava bene, ma  non è possibile.
- Mi dispiace darle questa notizia - rispose la donna vedendomi cambiare espressione, poi aggiunse :  - era un suo parente?
- No, non lo conoscevo- risposi, ero talmente stordito dalla notizia della sua morte che una gran confusione mi assalì e rimasi impietrito senza parole davanti alla donna che riprese a parlare.
- Sa è brutto ritrovarsi soli quando si è anziani in questo mondo dove tutto scorre velocemente tra l' indifferenza di tutti. Oggi si rimanda sempre al domani e  purtroppo siamo diventai ciechi e insensibili a tutto e a tutti. Abbiamo perso gli  antichi valori, siamo aridi di sentimenti,  del desiderio di conoscere, di chiedere, di imparare  e questo caro giovanotto è un brutto segno, ma proprio brutto.
Le sue parole furono una pugnalata allo stomaco, come le domande che avrei voluto porre al vecchio e che non otterranno mai nessuna risposta. Scuotendo il capo salutai la donna, mi girai, raggiunsi lo scooter e partii. Dopo poco mi fermai sotto il cappello di un grosso pino. Presi il cellulare e contattai Aine. Passarono pochi minuti e mi comparve il suo avatar sullo schermo.
- Sei andato? Mi chiese. Sbalordita dalla mia risposta non rispose subito. Rispettai il suo silenzio,  poi il puntino luminoso prese a muoversi e scrisse:
- Peccato, come mi dispiace per quel uomo e così non avremmo mai  le risposte alle nostre domande. Ricorderemo di quella partita di pallone giocata li ad Ameglia, e sai mi piace immaginare che forse fu lui a segnare il gol della vittoria. Certo è triste pensare che quello che ti ha detto la donna prima di salutarti corrisponde a verità, quelli purtroppo sono i mali del nostro tempo.. Al suo ciao aggiunse: - pensiamoci fin che siamo in tempo, pensiamoci. Poi sparì e io rimasi li a pensare. Dopo pochi minuti ricevetti una notifica sul cellulare, era lei che mi informava che al bivio che scende a Bocca di Magra e sale a Montemarcello c’è la località Ferrara, dove  un monumento marmoreo conferma che lì furono seppelliti i nostri eroi.
Tutto era tragicamente vero.

PierBin - ChatNoir
M di C 01 Agosto 2018
Crediti
Alcune informazioni sono state prese da Repubblica.it
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