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La lanterna del Sella

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La lanterna su Monte Sella
Era finalmente arrivato venerdì! La quindicina era finita, e tutti erano impazienti di tornare a casa. Le cave Cruz, dietro il Monte Sella, erano quelle più distanti dal piano, la vita lassù non è mai stata facile, giorno dopo giorno erano messi a dura prova tra il nobile e candido marmo che troppe volte si era macchiato di rosso. Come sempre sfidavano le irte rampe scavate nella montagna, si univano uniti, al solo canto, convenuto, ai cavatori che come loro avevano la stessa meta, le stesse mani callose e aggredite dal tempo, gli stessi pesanti scarponi, gli occhi ora bruni, ora limpidi come acqua pura di montagna, ora verdi come i riflessi dell’erba dei pianòri apuani. Loro erano uomini forti e camminatori, ritornavano a casa dopo una lunga ed estenuante quindicina di lavoro in cava per trascorrere un paio di giorni con moglie e figli. Ma come spesso aveva dimostrato, la montagna gli si mostrò matrigna anche questa volta, neri e pesanti nuvoloni si stavano ammassando al lato sottovento, quando raggiunsero la cima, spinti da un vento maligno, si precipitarono sul lato opposto srotolandosi, e riammassandosi, come una cosa viva. Fu mentre scendevano dalla via di lizza che tutto avvenne.  Il cielo si oscurò, come se fosse notte,  ora quelle nuvole alte, nere e minacciose si abbassarono e si scagliarono contro di loro con inaudita violenza, quasi volessero vendicarsi con loro per qualche torto subito. Un vento gelido gli sputava in faccia nevischio gelato, che accecava e toglieva il respiro,  rendendo quasi impossibile la discesa, il freddo, con le sue dita affilate come rasoi, tagliava le gote, penetrava fin dentro le ossa, e congelava le mani. Di li a poco la neve aumentò di intensità, coprendo e cancellando ogni cosa in un turbinio bianco, ora la visibilità era quasi nulla, gli uomini infagottati nei loro striminziti e logori "matalò" si scorgevano a stento le punte degli scarponi. Attilio, il capocava, aveva la barba incrostata di ghiaccio, era il più anziano dei sette uomini, saliva e scendeva la montagna con suo padre da quando era bambino, altre volte si era trovato immerso in bufere, ma mai di questa violenza, quella era  una tempesta di morte. Si girò verso i suoi uomini, stremati e impauriti,e urlando  a squarcia gola cercò con tutte le sue forze di trasmettere sicurezza, “FORZA NON MOLLATE, DOBBIAMO OLTREPPASSARE LA CRESTA, NON MOLLATE, MANCA POCO, CI SIAMO QUASI, FORZA !! FORZA!! Spronati da colui che stimavano come un padre, il gruppo riprese un pò di coraggio, ma fu di breve durata! Mentre superavano un passaggio difficile, proprio sul bordo di una cengia innevata, ci fu uno scivolone, seguito da un'urlo agghiacciante, che si confuse quasi subito con quello ben più potente del vento.  Mattia, il più giovane del gruppo a solo 23 anni,sparì nel canalone sottostante, la montagna aveva voluto anche questa volta un tributo di sangue, spezzando per sempre quella giovane vita, privandolo per sempre dei suoi sogni, negandogli ogni speranza, e strappandolo all'affetto dei suoi cari. Quasi fosse paga di quel sacrificio umano, la tempesta si calmò un'attimo, dando così al resto del gruppo, la possibilità di scavalcare la cresta con relativa facilità, e scendere al sicuro dal lato opposto. Sgomenti, distrutti, e stremati , ripresero la discesa. Arrivarono in paese che ormai le ombre della sera stavano calando, come un nero sudario su quel tragico giorno. All'alba insieme a gente del paese partirono per cercare di recuperare il corpo dello sventurato giovane. La vecchia madre, distrutta dal dolore, assisteva immobile a quella triste partenza, il viso rugoso, con gli occhi cerchiati di rosso, che non avevano più lacrime, con la canuta testa coperta da una nera mantellina, si avvicinò ad Attilio, e dopo avergli posato una mano sul braccio mormorò con un filo di voce "riportatemelo a casa." Il corpo di Mattia fu cercato per giorni, e giorni, ma non fu mai ritrovato. Una sera, come tutte le altre, la madre aspettava immobile alle porte del paese il ritorno dei soccorritori. Li vide arrivare, quando già cominciava ad imbrunire, procedevano in fila indiana il passo stanco, stremati nel corpo e nello spirito da giorni e giorni di inutile ricerche, li vide e capì che anche questa volta avevano fallito. Con un'urlo di disperazione l'anziana donna strappò dalle mani del capocolonna la lanterna, e rivolta alla montagna "urlò, ora verrò io a cercare mio figlio, voglio vedere se lo negherai anche a me!!! A sua madre!" Gli uomini cercarono di fermarla dicendogli che era molto pericoloso avventurarsi di notte tra quelle aspre montagne, ma non ci fu nulla da fare. Come fosse dotata di una forza sovrumana la vecchia, si divincolò dalla presa pur salda di quegli uomini e partì verso la montagna. Quella notte, e per tutto il giorno seguente, infuriò una terribile tempesta,  impedendo di fatto qualsiasi tipo di soccorso. Quando finalmente il tempo migliorò la gente del paese si precipitò a cercare quella madre, coraggiosa ma temeraria, tanto da sfidare così apertamente la montagna. Ma della vecchia donna, nonostante le ricerche durate giorni non si trovò più alcuna traccia. Solo Attilio, trovò sul fondo di un profondo canalone la lanterna fracassata della donna, e poco più in la nera sciallina, appoggiata su una roccia che non aveva mai notato. La sua forma ricordava vagamente una figura di donna seduta, e da dove più o meno dovrebbe trovarsi il grembo, usciva un ruscelletto di acqua limpida e fresca. La gente del luogo, la chiamò, la "poda dla lanterna" ma non usò mai le sue acque, perchè pensavano che fossero le lacrime di quella povera donna. Ancora oggi, poi, a distanza di molti anni, qualche anziano afferma che nelle invernali notti tempestose, si senta, tra i lamenti della Tramontana, una voce di donna chiamare il figlio, mentre, si vede un lumino vagare nel buio di quegli aspri e scoscesi canaloni. Solo superstizione? Chissa! In tutto questo una certezza però esiste, che certamente l'amore di una madre sarebbe così forte e potente da vincere perfino il confine tra la vita, e la morte.
Scritto da PierBin e Mario Volpi
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